L’evoluzione delle arti dal secolo scorso ad oggi ha totalmente rivoluzionato il lavoro dell’artista. La libertà creativa che ne costituisce il fondamento è divenuta, in epoca odierna, strumento di analisi e indagine della realtà circostante, allo scopo di cogliere l’essenza più intima per convertirla in opera d’arte, instaurando una sorta di comunicazione silenziosa, nelle cui manifestazioni visive, si evince un rapporto dialettico e critico con il fruitore. Mostrare, può anche significare “rappresentare” la potenza espressiva di un’opera per mezzo di elementi che, disposti nello spazio, formano un’installazione. In tale contesto, quasi scenico, si colloca la personale, ancora in corso, di Juan Esperanza dal titolo “Teatro delle Coincidenze“, curata da Dario Orphée e Veronica Di Carlo, presso i locali dell’ex Convento del Carmine a Sutera (CL).
La sua origine messicana e un excursus culturale ricco di contaminazioni europee, trova ampio respiro e punto di sfogo artistico nel paesino dell’entroterra siciliano dove egli vive da molti anni. La presenza di oggetti riciclati come il legno, l’imbuto o il tavolino, desunti dal repertorio etno-antropologico del luogo, rivelano il senso della memoria e dell’attaccamento ad una civiltà attiva e partecipe, pronta a ricevere, a braccia aperte, gli immigrati nel proprio centro d’accoglienza, avvalorando l’integrazione fra i diversi popoli. Un obiettivo ben formulato dall’artista nel video, in cui la partecipazione degli abitanti del piccolo centro si mescola ai vari ospiti stranieri arrivati con i barconi dal mare. Alla parola ” Rayuela” si compone una sinfonia musicale, resa molto particolare e poetica dalla fusione del suono dei diversi accenti. Così si palesa l’importanza del “Gioco del mondo“, il libro di Julio Cortazàr, dal quale Esperanza ha tratto ispirazione, mettendo in primo piano il settimo capitolo. La libertà di lettura che l’autore consiglia, viene trasposta all’interno dell’esposizione per generare un mondo metafisico di intensa suggestione.
La compresenza di linguaggi espressivi incarna il valore che l’artista intende dare al suo agire nell’arte, inteso come mezzo di de-strutturazione della realtà apparente al fine di ri-creare, tramite l’espediente ludico la complessità e l’incoerenza dell’essere e dell’esistenza. Spezzare schemi tradizionali, indagare ciò che si vede per oltrepassarne il confine al solo scopo di intuire o percepire l’invisibile, rappresenta il file rouge di Juan Esperanza, maggiormente rafforzato dalla disintegrazione delle installazioni a fine mostra. Un’operazione estetica di grande spessore critico poiché sta in quest’azione distruttiva la massima manifestazione dell’agire nell’arte e con l’arte.
Giovanna Cavarretta