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Intervista a Rosalba Branà, direttrice della Fondazione Museo Pino Pascali

AES+F, Allegoria Sacra
AES+F, Allegoria Sacra

(…) fondamentali innovatori nel panorama artistico internazionale di una poetica che vede la contaminazione dei linguaggi della fotografia, video e tecnologie digitali in grado di creare una metafora visiva iper-realistica e artificiale di forte impatto emozionale.

Le grandi narrazioni visive di AES+F esplorano i valori, i vizi e i conflitti della società contemporanea in ambito globale con riferimenti espliciti alla storia dell’arte del passato.

Queste le parole con cui viene assegnato agli AES+F il Premio Pino Pascali, alla sua XVIII Edizione, che sarà conferito loro il prossimo 19 settembre, alla presenza della Commissione che li ha selezionati: Rosalba Branà, Christian Caliandro, Antonio Geusa.

A pochi giorni dall’inaugurazione del Premio, data d’inizio della relativa personale negli spazi del Museo Pascali del collettivo russo più noto a livello internazionale, rivolgiamo alcune domande alla Direttrice Rosalba Branà. 

AES+F
AES+F

S.C.: Innovativi, sperimentatori, ironici, ma soprattutto critici sulla società contemporanea, traslata in vera e propria allegoria nel loro ultimo lavoro: un’opera-video di 40′, ispirata al Rinascimento italiano, che sarà il fulcro dell’esposizione al Museo; gli AES+F raccontano l’attualità in modo provocatorio, affrontando tematiche politiche, come l’integrazione raziale. E a tal proposito, è molto interessante il parallelismo tra Purgatorio e waiting room di un aeroporto internazionale, ambientazione dell’opera in questione. A suo avviso qual è l’Allegoria Sacra proposta dagli AES+F? E come si inserisce nella loro ricerca?

R.B.: Allegoria Sacra fa parte di una trilogia Liminal Space, realizzata dal gruppo russo AES+F, dopo Last Riot (2007) e The Feast of Trimalchio (2009), può essere considerata la loro opera più rigorosamente concettuale. L’allegoria come figura retorica è uno strumento linguistico che i nostri artisti hanno utilizzato per dare maggior incisività alle forme espressive e alla narrazione, è da intendersi come un espediente per portare in luce verità etiche e morali altrimenti non esplicitate, difatti nel video è rappresentata una società tesa al consumo piacevole del tempo e dominata dallo spettacolo. L’opera-film è rigorosamente politica e insieme spirituale. Sotto lo sguardo implacabile degli AES+F la società attuale è rappresentata come un’insieme di vizi più che di virtù. Una società che ha smarrito il senso etico e dove la vita umana è intesa come il luogo dell’inganno e della falsa coscienza con ben poche possibilità di riscatto.

S.C.: Inganno, smarrimento, ma anche spiritualità, verità etiche emergono tutte dalla poetica degli AES+F, che sembrano mantenere costantemente in equilibrio la duplicità, per non dire l’antinomia, di termini opposti: Eros e Thanatos in primis, ma ancora di più umanità e spregiudicatezza, nuove tecnologie e classicità, eleganza plastico-formale e rendering. Equivale a dire che per esser autenticamente innovativi, non si debba scartare alcunché del passato, ma rivisitarlo con cura, rispettandone perfino i criteri estetici?

R.B.: La scelta di presentare Allegoria Sacra come fulcro della mostra si inserisce nella volontà della commissione critica di sottolineare un rapporto proficuo con la storia dell’arte italiana del passato, legandola abilmente al presente. Il collettivo russo imputa alla società contemporanea la forte responsabilità dell’innescarsi di dinamiche conflittuali in questo mondo globalizzato.

S.C.: Allegoria Sacra è dunque un’opera citazionista, ma dal tratto decisamente politico; tratto che si sposa con l’attenzione che la Fondazione Pascali ha sempre avuto per le tematiche sociali, basti pensare ai lavori di Adrian Paci e di Lida Abdul in collezione o la personale di Virginia Ryan del 2014. Crede nell’arte “impegnata“? Oppure una tale scelta è frutto della consapevolezza che l’arte è veicolo naturale degli artisti per affermare un particolare sguardo sul mondo, anche aspetti socio-culturali del quotidiano? 

AES+F
AES+F

R.B.: Sicuramente sono per un’arte impegnata socialmente e meno decorativa o fine a se stessa, lo dimostrano le scelte delle mostre che ho realizzato sino ad oggi. Per la scelta degli artisti premiati, molto dipende dai commissari critici che di volta in volta sono in giuria. Artisti come Giovanni Albanese o la Nathalie Dijurberg o Jan Fabre non sono impegnati socialmente in mainera esplicita come per esempio Adrian Paci o Lida Abdul, ma hanno comunque attuato una rivoluzione linguistica del fare arte seppur con modalità diverse. Studio Azzurro per esempio ha realizzato in un’unica e personalissima modalità la trasformazione del linguaggio teconologico in poetica-politica. Nell’arte vi sono varie sfumature che concorrono nel produrre un linguaggio estetico che sia anche politico e impegnato.

S.C.: A tal proposito è opportuno sottolineare che parallelamente all’esposizione degli AES+F, sarà possibile vedere le opere vincitrici delle precedenti edizioni del Premio dal 1997 ad oggi. Le opere e gli artisti selezionati nel corso degli anni, come sottolineava, sono molto differenti. Tuttavia mi chiedo se esse non siano unite da un fil rouge, che – al di là del’innovazione e dell’indiscusso valore artistico di ogni vincitore – abbia a che fare con la mission etica ed estetica del Museo.

R.B.: Gli artisti premiati non devono essere in alcun modo epigoni di Pascali, in questo sono molto rigorosa, poiché già Palma Bucarelli quando istituì il Premio Pascali scrisse che gli artisti prescelti per il Premio, dovevano conservare di Pascali lo spirito innovativo e certamente una dose di sfrontatezza nel cambiare e/o superare la tradizione. Come Pascali tali artisti devono praticare lo sconfinamento e le contaminazioni passando con naturalezza dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al video alla performance. Inoltre, cerchiamo nell’artista da premiare quella carica eversiva che le opere di Pascali ancora oggi sono in grado di trasmettere. Innovazione è un bellissimo termine per l’arte…. molti, troppi artisti oggi si siedono sulla propria cifra stilistica e non vanno avanti. Noi osserviamo il fluire della carriera dell’artista da premiare cercando le componenti cui ho accennato, e non importa che abbiano 30 o 60 anni, credo per esempio che un percorso innovativo in continuo movimento e crescita sia peculiare in artisti come Jan Fabre o Mat Collishaw pur appartenenti a differenti generazioni e provenienti da una formazione diversa. Gli artisti che fin’ora hanno ricevuto il Premio Pascali sono in continua evoluzione linguistica, se invitassimo i fratelli Chapman oggi ad una mostra al Museo potremmo verificare quanto la loro poetica sia andata avanti e si sia rinnovata pur conservando tutti i caratteri e le profonde motivazioni eversive, rivoluzionare e provocatorie del loro fare arte. Questo è il fil rouge che collega gli artisti del Premio Pascali e che, di rimando, muove le scelte di tutte le nostre mostre, curate, come spesso avviene, sia da giovani critici trentenni che da più affermati storici dell’arte. Adrian Paci - opera in collezione Museo PascaliQuesto principio, che è parte fondamentale della mission del Museo, si può ritrovare anche nelle mostre attuate con cooperazione transfrontaliera con i Paesi dell’altra sponda dell’Adriatico, l’Albania, il Montenegro, la Croazia con i quali abbiamo stretto rapporti di scambio e collaborazione. La mostra “Coexistence. Per una nuova nuova koinè adriatica“ ha portato 25 giovani artisti in giro per i Musei balcanici a confrontarsi proprio su tematiche forti e attuali: dall’emigrazione, alle morti in mare, alla difficoltà di chiamarci europei e di coesistere nella diversità. Il Museo inoltre si sposta ed esplora nuovi luoghi espositivi e nuove situazioni, da alcuni anni ci occupiamo di correlare Arte/Natura/Territorio‚ ogni anno a maggio organizziamo una mostra in un orto botanico mediterraneo e con un video sulla mostra da me organizzata nella Riserva di Torre Guaceto e nel Castello di Carovigno abbiamo appena vinto un Premio ritirato alcuni giorni fa al Festival del Cinema di Venezia e premiato da una giuria composta da Sky Arte e dal Mibact. Anche qui la mission era quella di far dialogare il linguaggio contemporaneo con le problematiche naturalistiche e territoriali.

S.C.: E infine, un’ultima domanda: in un periodo in cui si parla sempre più di fare del museo un’impresa culturale – e ne è una dimostrazione la volontà politica di insidiare venti nuovi direttori nei più noti Musei Italiani – qual è la sua opinione in merito? È evidente che il Pascali ha sempre mostrato un’attenzione autentica al territorio ed ai suoi giovani; crede che sia la strategia culturale risolutiva per consentire una fruizione più “aperta“ e “viva“ del Museo?

R.B.: Intendo già il Museo come impresa culturale, quello su cui sto lavorando molto adesso è far conoscere i nostri giovani artisti all’Estero. Affinchè vadano fuori a fare mostre ma rimanendo a lavorare e vivere in Puglia, nonostante un carente sistema dell’arte. Un Museo oggi non può essere solo un contenitore statico di mostre, deve essere fluido e in movimento, la forza lavoro di un Museo sono gli artisti che lo praticano e lo vivono. Assodato e raggiunto l’obiettivo della conservazione e promozione delle opere di Pascali e quello che gira intorno a lui, come appunto il Premio, mi concentro sui nostri artisti, vorrei che il Museo servisse loro come trampolino di lancio. In questi giorni uno dei nostri artisti, Michele Giangrande, è in Russia dove sta riscuotendo moltissimo successo alla Biennale degli Urali. Abbiamo un fitto programma di Residenze d’artista, dove immettiamo nel tessuto locale artisti italiani e stranieri che lavorano a contatto anche con maestranze artigianali in un proficuo scambio di idee e tecnica. Penso agli artisti che hanno lavorato per un progetto curato da Giusy Caroppo con i maestri cartapestai del Carnevale di Putignano, producendo con loro opere di forte impatto come ad esempio Dario Agrimi e Luigi Presicce, o Claudia Giannuli che si è confrontata con gli artigiani della terracotta di Rutigliano, un paese vocato a tale tradizione. Gli artisti immettono nuove idee, gli artigiani insegnano loro le antiche tecniche, uno scambio interessante che può produrre anche nuove modalità lavorative. E ancora stiamo realizzando all’interno del Museo un Caffè Letteraio, che presto diventerà il cuore pulsante, nel quale si potranno organizzare incontri, concerti, eventi, piece teatrali, reading letterari, affidandone l’organizzazione ad associazioni culturali del territorio. installazione di Michele Giangrande alla Biennale degli UraliCi sono vari modi di fare di un Museo un’impresa culturale, prima di tutto deve essere il luogo della diffusione culturale, il futuro a cui deve tendere il lavoro di un Museo al passo con i tempi è stabilire connessioni produttive in più direzioni ed essere in grado di intercettare esperienze diverse che abbiano come ultimo fine lo sviluppo culturale ed economico di un territorio. Mi pare che le nuove linee dei progetti europei puntando su innovazione, creatività e trasversalità della Cultura ne indichino la via.

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