Venezia si prepara ad accogliere la sua cinquantottesima biennale, con una serie di eventi esterni che si relazionano al tema scelto, ovvero una riflessione sul tempo in cui viviamo.
L’Arsenale Nord, presso la Tesa 94, ospita la mostra In Dante Veritas che analizza il corrente periodo storico, in relazione ad una nuova paura: l’inquinamento.
Vasily Klyukin (1976) è un artista russo visionario; immagina che il mondo potrebbe essere migliore se si palesassero i nostri peccati, così a partire dai gironi della Commedia dantesca, propone un suo personale Inferno. L’artista, a differenza del poeta, non giudica il visitatore ma lo invita a svolgere un’esperienza introspettiva in cui, posto davanti alle personificazioni dei peccati, come riflesso d’avanti ad uno specchio, l’osservatore si interroga sul suo trascorso.
È una sorta di ‘esame di coscienza’, da svolgere singolarmente con l’ausilio di un’audioguida, tradotta in dodici lingue, attivabile dal proprio smartphone.
Ad accoglierci all’ingresso si trovano i quattro cavalieri dell’apocalisse, strutture in acciaio definite da Klyukin ‘live sculptures’, in quanto apparentemente bidimensionali, si aprono verso la terza dimensione. La tecnica adottata prevede unicamente l’incastro di lastre d’acciaio, posizionate in modo tale da sostenersi, senza la necessità di ulteriori elementi strutturali. Le sezioni che compongono le sculture sono progettate per essere sfilate e spostate senza, tuttavia, modificare la nostra percezione della figura nel suo complesso, come pagine di un libro.
L’ultima sala è separata dalle altre ed ospita la personificazione del tradimento. Le pareti che la circondano sono composte da teli di plastica nera, sulle quali il visitatore è invitato a scrivere il nome di una persona, un’azienda, o anche un luogo, che in passato lo ha tradito.
Vasily Klyukin ci invita ad esorcizzare i nostri errori e le nostre sofferenze, chiudendo la mostra con un’importante riflessione sul problema dell’inquinamento. Ignorare la sovrabbondanza degli scarti che produciamo ogni giorno peggiora le nostre condizioni di vita, credere che il minimo gesto sia inutile contribuisce al peggioramento della situazione. L’opera che esprime questa preoccupazione è una scultura di quasi 11 metri, esposta all’esterno dell’arsenale. Si tratta di un bambino con in mano dei palloncini che lo trascinano verso il basso. L’opera Why people can’t fly, spiega per quale motivo le persone non possono volare: «L’uomo si è evoluto fino ad arrivare nello spazio, ma non sarà mai in grado di volare da solo. Questo perché a tenerci ancorati al suolo sono i nostri problemi, i nostri peccati. Spesso questi non dipendono da noi, ma possono pesare sulle nostre teste anche quelli di chi ci circonda, di chi partecipa alla nostra esistenza… Fa parte della condizione umana».