Agrigento: siamo in bilico. La data di ieri potrebbe essere ricordata come la più grande scoperta archeologica di inizio Millennio, o il più drammatico “miraggio” del mondo. Capita. Le prossime ore decideranno in quale delle due parti l’ago della bilancia, adesso impazzito, si soffermerà. Ovviamente speriamo per la prima. Ripercorriamo il sentiero di questa notizia.
Sabato 10 settembre 2016. È mattina. La stampa apre con uno scoop. Il succo: ritrovato l’antico teatro greco di Akràgas! Si tratta di un grande evento. Davvero grande, poiché di esso, in città e nell’ambiente accademico, si è in cerca da secoli. Ufficialmente o meno. Tommaso Fazello e Pirro Marconi sono soltanto due dei nomi legati alla “caccia”, i quali, oltre ad aver lasciato notevoli contributi, intuirono proprio nella zona oggi interessata, la presenza del teatro.Tra le tante teorie, però, mai nessuna certezza; non imputabile agli studiosi, i cui calcoli ebbero un lieve margine di errore, ma probabilmente causate dalla scarsità dei fondi a disposizione, non coerenti alla portata dell’attività archeologica.
Insomma: dalle testimonianze letterarie agli scavi… Di concreto soltanto il desiderio ritrovarlo. Che è scemato nel corso del tempo.
Le ipotesi storiche da bar, avanzate dai non addetti ai lavori, insomma coloro che non hanno voluto abbandonare l’idea di un esistente e sepolto teatro di Akràgas, sostenevano che esso avrebbe potuto trovarsi a ridosso dal colle in cui è stata arroccata la vecchia e berbera Girgenti: in una piazza, che è stata mercato ortofrutticolo, e oggi stazione di servizio e parcheggio, la cui morfologia ricorderebbe proprio la struttura teatrale: la platea a semicerchio che osserva la scena e poi il mare.
Plausibile, e non folle, il fatto che il teatro potesse essere lì. Forse anche perché gli aspiranti archeologi furono suggeriti da un’usanza agrigentina molto strana, e cioè quello di distruggere il passato (ellenico, romano, chiaramontano, ecc.) costruendoci sopra qualcosa, qualsiasi cosa: l’attuale estensione della città, difatti, poggia su vaste aree archeologiche, definitivamente perdute, affogate dal cemento.
Malgrado ciò… Fino a poche ore fa l’unico teatro cittadino, esclusi quelli estivi movibili o permanenti privati, è stato il “Pirandello”, posto difronte l’omonima piazza, all’interno del palazzo comunale e sotto il civico consesso (sic!).
Dal prossimo ottobre, il mese in cui avverrano gli scavi, pare che la storia locale riesca a regalare un nuovo tesoro all’Italia che manda in decomposizione i suoi beni e al mondo che ne fruisce. Esprimendosi smorfiosamente agli agrigentini così: il teatro greco?, è sempre stato sotto il vostro naso (letteralmente), e in un’area fortunatamente rimasta quasi indenne dalla speculazione edilizia, a pochi passi dai resti del quartiere ellenistico-romano e l’area urbana contemporanea di qualche chilometro più a nord, che stava fagocitando le campagne verso il litorale, con una rassegna di “tolli” (i palazzoni), elementi architettonici tipici della zona.
A “spolverare” il probabile gioiello ellenico dall’oblio è stato il Politecnico dell’Università di Bari, durante le ricerche aerofotogrammetriche concentrate a definire l’agorà. Ritrovata una cavea, il disegno che ricorda l’impostazione architettonica del teatro pare evidente. Lo speriamo.
Andiamo alla cronaca. Si parla di teatro, e teatralmente ieri il premier (la visita era programmata) si è recato ad Agrigento, di fronte il Tempio della Concordia, per firmare il “Patto per la Sicilia”. Il teatro non è mai fine a se stesso, ma si espande alla vita reale. Il “Patto” pone un’altro momento da ricordare: la pioggia di 6,6 milioni di euro su Agrigento, da spendere per vari investimenti, scavi compresi. Buone coincidenze… Non accadeva da quando la città si fece sfuggire dalle mani la possibilità di avere oggi un centro storico esteticamente presentabile. Intanto, il 15 settembre il Parco Archeologico ha indetto una conferenza stampa per chiarimenti in merito alla scoperta.
Ad Agrigento sono tutti eccitati (c’è da ammettere che ci si eccita anche per meno). Si parla di “rivoluzione economica” per la città ultima in classifica riguardo la qualità della vita. E magari!
Negli ambienti “critici”, invece, si esulta in modo contenuto. Anzi, si è decisamente preoccupati. E a ragione. Anche se è troppo presto per rispondere alle seguenti domande.
Primo. Se l’antico teatro venisse a galla, come sarà gestito in futuro il reperto? Risulterà utile a infarcire le casse comunali di una città non in grado di gestire se stessa, e da anni in caduta verso il dissesto? Perché di questo è necessario discutere, successivamente alla meraviglia archeologica, facendo breccia nella favola.
Secondo. Il teatro greco, insieme alla sua “forza gravitazionale”, salverà la facoltà di archeologia di Agrigento, la cui inaugurazione accademica annuale coincide con la minaccia di chiusura, donando importanza a una disciplina tanto importante nel luogo in cui risiede? (Questo è o no un argomento da palcoscenico?).
Terzo. Nonostante il teatro, il turismo agrigentino sarà sempre succube delle città che la tengono a bada, facendo dei Templi una “toccata e fuga” di poche ore, o forse, con l’occasione, si inizierà a ragionare di turismo scientifico, con offerte e servizi, e di rassegne di drammaturgia classica? (Sto esagerando).
Concludendo, quarto: Agrigento – diciamo la Sicilia intera – è all’altezza di un bene culturale di simile importanza, visto che al suo interno le sono rimaste soltanto un paio Strade Statali ancora in piedi?
Sì, siamo in bilico.