È storia recente, quella di artisti che raccontano lo sfacelo umano del capitalismo, dentro le piaghe insanguinate del capitalismo, per le ragioni incontrovertibili del capitalismo.
Fino a qualche anno fa, meno di cinquanta e non più, coloro che si permettevano appena di analizzare ciò, lo facevano con una retorica che oggi è appesa tra le pareti dei più grandi musei del mondo, con una (metaforica) cornice di milioni di dollari intorno, protette da quelle “corporazioni” contro le quali gli stessi artisti hanno battagliato. Altri artisti, invece, li hanno tolti semplicemente di mezzo. Il metodo era sbagliato? O forse l’arte non è fatta per questo? Chissà quali siano le ragioni di tale eterno uroboro.
Rubando un concetto dal compianto Perniola, direi che questi artisti erano degli out che sono diventati (forzatamente) degli in. Tuttavia, se volessi andare più avanti dalla semplice ed elegante catalogazione critica, affermerei che il problema è serio: perché, ancora, artisticamente e criticamente siamo fermi (come si diceva prima) all’analisi.
(Sarà dura, però ce lo auspichiamo. Cosa? Ecco cosa.) Tra qualche anno in arte sentiremo, vedremo, toccheremo concretamente quelle tesi funzionali che, sempre cinquant’anni fa, erano in formazione (cfr. A. Næss), le quali stentano a trasformarsi in “piattaforma” generalizzata della società (almeno quella occidentale); poiché l’umanità non è ancora definitivamente stanca dei disastri, ma noiosamente appollaiata sulle comodità del consumo. Attraverseremo un momento di pura condivisione, e cioè di pura utopia: quello che l’umanità è in grado di fare bene non è mai stato, per l’appunto, il bene. A meno che…
Rimanendo in tema, a Palazzo Biscari di Catania, perla barocca della Sicilia orientale, ha avuto il suo esordio l’installazione site-specific intitolata Il mio cuore è vuoto come uno specchio, di Gian Maria Tosatti, che per l’occasione è stato affiancato da ben tre – tre?- curatori: Adele Ghirri, Ludovico Pratesi e Pietro Scamacca. Seguiranno, oltre all’episodio di Catania, altri appuntamenti in giro per l’Europa «tra le macerie della Storia moderna»; ricordo di aver letto proprio così nel testo, da qualche parte.
Di certo Tosatti è sveglio. E lo notiamo dal contrasto, sempre lindo, ossessivamente perfetto, con una cifra coerente allo stile corrente (non certo senza stridere), tra le melodie figurative degli affreschi e degli ambienti barocchi e la “linea” asettica del contemporaneo più gettonato, di cui l’artista è un fedele rappresentante, con una elevazione al quadrato.
Girovagando tra le installazioni, invece, si ha la sensazione di trovarsi nel corpo di un funambolo-fruitore d’arte, sospeso tra rovine della storia e nuove rovine artificiali (a pochi metri dal Palazzo, di rovine vere ne ho incontrate a bizzeffe, per la cronaca).
Non ho ben capito, come affermavano i curatori, quali siano effettivamente le allegorie di cui hanno narrato; e cos’era questo tempo, tempo che doveva apparire finito o in continuità verso dimensioni iperuraniche. Sarà che in Sicilia le allegorie sono il linguaggio stesso, e il tempo è sempre stato finito e in continuità senza un reale corto circuito.
Qui in Sicilia, tanto per concludere, nulla è mai cambiato; ma questo è un luogo comune antico. C’è ben altro, oggi, nell’Isola; di più divertente e di più drammatico. Per esempio, le menti dei giovani siciliani: sintesi perfetta del capitalismo in formato sostenibile.
Gian Maria Tosatti – Il mio cuore è vuoto come uno specchio
Fino al 18 agosto 2018
PAALAZZO BISCARI
Via Museo Biscari 10 – Catania