La prima volta che vidi un dipinto di Ignazio Schifano fu a Palermo, qualche anno fa, alla galleria “Bobez”. Un gruppo di artisti, dei quali mi parve di conoscerne uno in particolare, se ne stavano seduti attorno ad un tavolo, con tazza di caffè dinanzi, e discutevano sommessamente di arte contemporanea.
Il mio arrivo non destò particolare curiosità (e perchè avrebbe dovuto farlo?), e tuttavia mi fu chiesto cosa desiderassi. Risposi che ero lì per visitare le opere, e gentilmente fui accompagnato tra le sale da un pittore mio coetaneo, il quale, alzandosi dal tavolo, lasciò il suo caffè e mi raccontò i dettagli dei lavori.
Se non ricordo male, prima di giungere all’ultima sala, su un tavolino o chissà cosa, incontrai una piccola tela che mi incuriosì tanto. Raffigurava, su un fondo totalmente nero, una giostra vivificata da velocissime e sottili pennellate bianche. Nessuna presenza umana, nessun oggetto: soltanto il movimento nel nulla.
Sapevo che quello era un dipinto di Ignazio Schifano perché durante gli anni passati all’università di Palermo, frequentando gallerie e leggendo riviste locali, avevo “addestrato” a riconoscere gli stili dei singoli artisti, mentre venivo inglobato, senza poterla fermare, da quella inutile e strana nebulosa di classismo (tipica in città e tutt’oggi affamata) che vede una certa sezione di artistoidi superbi da un lato, affetti da “afasia”, ammirati dalla borghesia palermitana e corteggiati dalle gallerie più fighette, e dall’altro gli “artigiani” del pennello e dello scalpello, le cui opere raccontano freschezza estetica. Be’, sì: artisticamente Palermo è stata utile a comprendere che l’arte è una giostra, una maestosa giostra, simile a quella del Giardino Inglese; e soltanto chi è bravo a reggersi per bene porta a termine un giro completo.
Di giostre, anche se non sempre esplicitamente, e di sicuro non nel modo in cui ne ho scritto finora, Ignazio Schifano si è occupato, non tradendo il ricordo che il sottoscritto ha di lui. E per la mostra inaugurata il 6 aprile allo studio di arte contemporanea “Cocco”, intitolata “Carte”, accompagnata dai testi in catalogo di Laura Faranda, Marina Di Pasquale e Anthony Molino, il pittore palermitano ha pensato appositamente per Messina venti opere, di differenti dimensioni e di tecniche miste, le quali fondono le cromie fluo sicule e il grigiore londinese.
«[…] Il lavoro di Schifano, principalmente informale, è anche intriso di un simbolismo tratteggiato da un grido alla Provvidenza, al perdono dell’uomo, all’unità primordiale del cerchio, alla libera espressione della mente», scrive il critico Laura Faranda, curatrice della mostra.
Chissà se l’arte contemporanea ha ancora voglia di questa “libera espressione”, di questa unità, di questo perdono.