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HOME BEIRUT Sounding the Neighbors

Nuova pagina al racconto sul rapporto tra Europa e Medio Oriente, iniziato nel 2014 con la mostra sull’Iran e proseguito nel 2016 con il capitolo su Instanbul; come arte e società contemporanee sono legate e sviluppano reazioni ed espressioni creative, forti di energie per una nuova rinascita. Home Beirut Sounding the Neighbors, a cura del direttore artistico Hou Hanru e di Giulia Ferracci, si sofferma sulla capitale libanese, Beirut, sulla dimensione artistica fatta di ricerche e resistenze, rimandata da molteplici lavori di 36 artisti contemporanei: Ziad Abillama / Shirin Abu Shaqra / Etel Adnan / Tamara Al-Samerraei / Mounira Al Solh / Haig Aivazian / Ziad Antar / Caline Aoun / Marwa Arsanios / Tarek Atoui / Vartan Avakian / Eric Baudelaire / Tony Chakar / Ali Cherri / Roy Dib / Maroun El-Daccache / Fouad Elkoury / Sirine Fattouh / Laure Ghorayeb / Ahmad Ghossein / Mona Hatoum / Joana Hadjithomas & Khalil Joreige / Hatem Imam / Lamia Joreige / Mazen Kerbaj / Bernard Khoury / Walid Raad / Marwan Rechmaoui / Graziella Rizkallah Tou c / Stéphanie Saadé / Rania Stephan / Jalal Tou c / Paola Yacoub / Akram Zaatari / Cynthia Zaven con la partecipazione di Al Maslakh / Annihaya / Arab Center for Architecture / Foundation for Arab Music Archiving & Research.

Nelle opere di artisti così diversi e con storie e percorsi non sempre coincidenti, si legge il vissuto che restituisce un rapporto strettamente condizionante con la città, che ha subito una drammatica guerra civile, di cui a distanza di molti anni si leggono ancora le traumatiche espressioni; in ogni angolo e anche e soprattutto nelle zone ricostruite. Molti di questi artisti hanno una formazione architettonica ingegneristica come a voler dare base teorica e tecnica a un vissuto emotivo e creativo. La città è il luogo che accoglie, in cui si stabilisce la propria residenza, dove l’abitazione dovrebbe rappresentare la casa, il luogo sicuro dove ricordare e costruire una storia, la propria. Ma in questa città troppo è ancora da rivedere e rinsaldare, nonostante l’attuale crescita economica. Diversità culturali e religiose, interessi economici crescenti e speculazione edilizia raccontano una complessità urbana che si riflette nelle diversità sociali ed economiche dominanti, riportando a diverse reazioni delle espressioni artistiche emergenti. In alcuni lavori si legge oltre a una ricerca espressiva e concettuale anche la volontà di rivalutare la dimensione identitaria, personale e di genere, come avviene nelle opere di Mounira Al Sohl o nel video di Mona Hatoum del 1988 dove, attraverso la voce della madre e le sue parole, delle lettere che si sono scritte dopo lo scoppio della guerra civile, il legame emotivo delle due donne diviene sinonimo di forza interiore e reazione alle avversità dei rifugiati. Sono molti i lavori video, di ricostruzione di un’immagine persa e da ricompattare della città o le testimonianze fotografiche che rivanno alla memoria storica di luoghi di una Beirut non più esistenti e di nuovi quartieri edifici che hanno preso il posto di quelli storici. La serie fotografica Solidere di Fouad Elkoury si concentra sul distretto centrale della città, ricostruito dalla società dell’ex premier Ra k Hariri, privato della originaria identità sociale ed economica. O nella videoinstallazione After the river di Lamia Joreige, della storia del fiume Beirut, del suo sfruttamento e del cambiamento dei suoi argini, scelti come ricovero dai migranti e fulcro di nuovi interessi residenziali. La città e le sue trasformazioni, come ad essa vi si adatta per necessità e chi sfrutta il degrado per ricavarne profitto. L’energia creativa domina. Anche dalle macerie che rievocano frammenti della guerra, si ha una immanenza degli elementi architettonico-strutturali, dei pilastri in cemento armato: le sculture di Marwan Rechmaoui Pillars esprimono la condizione impoverita e minata dalle sue fondamenta di un tessuto urbano fragilissimo, rimesso però in piedi. Fino ai rifiuti, al problema che ha afflitto la città libanese per la chiusura della discarica di Naameh, conseguenza di una politica opportunista del premier Hariri in azionando terreni, compresi quelli della discarica, ai fini di speculazioni edilizie. Marwa Arsanaios lo racconta nel film del 2016 intrecciando parti di storia personale e immagini dell’espansione di Beirut, e nella serie di venti disegni a penna su carta, della reazione della ora e della fauna che si adattano agli ambienti inquinati delle discariche.

Emblematico il video Wa di Ziad Antar dove due bambini, i suoi nipoti, si accompagnano ad una pianola e cantano scandendo divertiti il ritmo di un brano improvvisato; per ripartire e guardare al futuro, restituendo l’immagine di casa riformulata a partire da semplici basi per costruire una nuova storia e nuove memorie.

La Recensione su Home Beirut è di Ilaria Piccioni e pubblicata sul n. 265 di Segno

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Fino al 20 maggio 2018

MAXXI | Museo delle Arti del XXI secolo

Via Guido Reni 4A – 00196 Roma

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