Mercoledì 19 maggio a Milano presso il Centre Cultural Francais inaugura la prima mostra personale in Italia di Guillaume Leblon (1971, Lille, vive e lavora a Parigi), a cura di Alessandro Rabottini, capo curatore della GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo. La mostra, intitolata Monumento Nazionale, costituisce il secondo appuntamento del progetto espositivo Una certa idea della Francia, ideato e promosso dal direttore del Centre Olivier Descotes, che nell’arco di due anni coinvolge artisti francesi e curatori italiani. Iniziato lo scorso gennaio con la mostra di Raphaël Zarka, curata da Marcello Smarrelli, il ciclo prosegue con Guillaume Leblon fino a luglio per poi continuare, in autunno, con una collettiva a cura di Simone Menegoi. La scelta dei curatori, operata dal direttore, si basa sulla loro attività nella promozione dell’arte emergente internazionale. La scelta del titolo, invece, nasce dal desiderio di sottolineare lo sguardo dei curatori italiani sul panorama delle ultime due generazioni di artisti francesi, un modo per ribadire l’esistenza di un dialogo ininterrotto tra i due Paesi. La ricerca di Guillaume Leblon, considerato uno degli esponenti più interessanti dell’arte francese contemporanea, è incentrata principalmente sulla scultura e sull’installazione ambientale, anche se a volte, di fronte ai suoi lavori, è difficile distinguere tra questi due ambiti espressivi. Leblon costruisce strette relazioni tra gli oggetti e le architetture che li ospitano, producendo spesso opere in cui la percezione dell’intero ambiente è modificata da gesti minimi e da presenze discrete. Attraverso l’utilizzo di elementi naturali come il ghiaccio, il vapore o i fiori, l’artista crea spazi in cui l’interno e l’esterno dialogano tra di loro: in questo modo le forme della natura diventano componenti costruttive, mentre le unità dell’architettura assumono l’aspetto transitorio dei materiali organici.
Al Centre Cultural Francais di Milano Leblon presenta due lavori ambientali appositamente ripensati per questa occasione. Il primo, che occupa l’intero spazio espositivo, è National Monument (2006-2010), da cui prende il titolo la mostra. L’installazione mette in scena una serie di riferimenti multipli, che spaziano dalla scultura minimalista alla tradizione dell’arte pubblica di carattere celebrativo, chiamando in causa la relazione tra le forme dell’arte astratta e il concetto di commemorazione. In più, l’utilizzo di materiali come l’acqua e la creta posti in reazione reciproca, fa sì che quest’opera si trovi in costante trasformazione, suggerendo l’idea che la memoria sia un esercizio quotidiano e non uno stato immutabile della coscienza. Come spesso accade nel lavoro di questo artista, la riflessione sul concetto di site-specificity corre parallela alla sua estensione in territori più ampi, che coinvolgono i valori collettivi e la sfera esistenziale. National Monument, infatti, evidenzia uno stato estremamente problematico della coscienza comune e nazionale: non è chiaro se questa scultura si trovi in una situazione di restauro o se sia, piuttosto, un organismo vivente a stento tenuto in vita artificialmente.
Il secondo lavoro esposto, dal titolo 16h, Frévent (2009), è un’installazione sonora che occupa il cortile interno del Palazzo delle Stelline, sede del Centre. L’opera consiste nella registrazione del suono della campana di una chiesa che segna le ore 16, il momento in cui il giorno cede il passo alla sera. Questo suono, leggermente distorto, è ripetuto ad ogni ora, come a estendere all’intera durata della giornata e della mostra quello stesso istante, quel passaggio malinconico al tramonto inteso come una sorta di quotidiano e impalpabile memento mori.
Tutto il lavoro di Leblon esprime il tentativo lirico di accettare la temporalità insita nei materiali, negli oggetti e nei luoghi, ed è forse per questo motivo che le sue sculture e le installazioni sembrano sempre colte in uno stato di transizione, come se raccontassero il mutamento di stato della materia da solido a liquido a gassoso. Quelli di Leblon sono spazi ricchi di memorie della storia dell’arte degli ultimi decenni: frequenti, infatti, sono i riferimenti all’Arte Minimalista, all’Arte Processuale, all’Anti Form e all’Arte Povera, tutti movimenti che, se da un lato hanno indagato la natura specifica dei materiali scultorei, dall’altra hanno ampliato i limiti e l’ambito della scultura stessa. Traendo ispirazione da questi precedenti storici, Leblon apre inediti scenari di intimità e di ambiguità, all’interno dei quali la presenza umana sembra sul punto di scomparire.
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Kaleidoscope, con un testo di Luca Cerizza e una conversazione tra Alessandro Rabottini e Guillaume Leblon, con apparati fotografici a colori.
Al termine dell’intero ciclo espositivo sarà pubblicato un catalogo generale con un video di Anton Giulio Onofri.
Guillaume Leblon ha esposto in mostre personali in prestigiose istituzioni internazionali come il Mudam – Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean del Lussemburgo al Centro Galego de Arte Contemporánea di Santiago de Compostela in Spagna, allo STUK Kunstcentrum di Leuven in Belgio, al Centre d’Art Contemporain Domaine de Kerguéhennec di Bignan in Francia e al Kunstverein für die Rheinlande und Westfalen di Düsseldorf in Germania.