«L’arte è scienza, non si improvvisa e non si accontenta di qualunquistiche e superficiali approssimazioni, anzi richiede un duro e sistematico lavoro».
Le affinità riscontrabili tra l’arte visiva e la ricerca scientifica sono innumerabili e sempre in piacevole accordo nella storia umana. Oltre a Leonardo da Vinci, testé citato, lo studio analitico della natura e l’evoluzione tecnica degli strumenti di riproduzione sono esempi esaurienti per confermare il sodalizio sempre esistito tra queste due branchie del Sapere. Occorre frugare nel XVIII secolo, tuttavia, per individuare la nascita di un gusto: la saturazione delle forme barocche e i vagiti di un’identità europea, bisognosa di un veicolo identificante e trainante (benché inciampò per un periodo nella dittatura napoleonica), trovò nella cultura scientifica una sintesi ideale e popolare, in contrasto con la corrente dominante (anche esteticamente) italico-papale. Il rigore e lo sviluppo della disciplina fu ben accolto in campo artistico, basti pensare alle applicazioni del Canaletto per le sue vedute o l’evoluzione strumentistica in campo musicale, oltre alla divulgazione museale, che dalla Wunderkammer, pura ammirazione, passò repentinamente ad accentuare l’informazione, incoronando la Conoscenza a Nuova Estetica: la Specola di Firenze resta tutt’oggi uno dei punti più alti a livello museale del binomio Arte e Scienza.
L’attualità non sempre, anzi decisamente raramente, ha offerto proposte di indagine artistico-visive che sposassero o comunque accogliessero lo studio scientifico, limitandosi ad una imitatio pallida come Damien Hirst o qualche fascinazione per la tassidermia o qualche recentissimo (ma ancora ingenuo) interesse per la robotica. L’arte visiva contemporanea, troppo spesso fine a se stessa, non si è ancora accorta del potenziale e della necessità di abbracciare il progresso nozionistico nei vari settori del sapere per riacquisire quello spirito umanistico fondamentale alla salvaguardia stessa del genere.
A questo riguardo, si evocano di buon occhio il Cinema di Werner Herzog, meravigliosamente inconfutabile e inclassificabile, e la ricerca dell’artista Andreco.
Ibrido calzante in quanto la sua innata creatività ha rivestito il ruolo di Ingegnere Ambientale, Andreco manifesta nella sua arte un’attenzione mirata e sensibile al mondo naturale con quella crudezza e inquietudine, perché la verità non è mai quieta, davvero vicine al regista tedesco.
Il suo freschissimo progetto, Climate 04 – Sea Level Rise, ultima tappa di un percorso additante i rischi dei cambiamenti climatici, dopo aver toccato Parigi, Bologna e Bari, sceglie Venezia come scenario non casuale per sensibilizzare un ulteriore aspetto del tema, ovvero l’inesorabile innalzamento del livello del mare come conseguenza dell’incuranza umana. Una summa della sua ricerca, l’operazione si sviluppa in tre manifestazioni, un intervento murale, un’installazione ma specialmente in un seminario coinvolgente gli ambienti universitari e di ricerca, quali Università Ca’Foscari, Università Iuav di Venezia, CNR-ISMAR, sottolineando l’importanza al dialogo ed alla divulgazione propria della nascita delle Accademie nel XVIII secolo.
Non meno rilevante l’apparato visivo: nel wall painting, l’artista opta per una soluzione poco impattante ma drammatica nel suo accento, riportando i dati precisi dell’aumento del livello delle acque calcolato nei prossimi decenni, mentre l’installazione riprende fedelmente la forma-tipo collaudata da Andreco della roccia frastagliata, “cristallizzando” al suo interno un piccolo giardino di piante lagunari.
L’aspetto escatologico dell’arte di Andreco, accentuato dalla sintesi formale, fredda e rigorosa, non tende tuttavia ad un’enfasi critica, ad un j’accuse mirato, piuttosto invita una presa di coscienza, suggerendo alternative concrete, di stampo ecologico, come soluzione del problema.
La purezza delle immagini e la flessione “documentaristica” e brillantemente herzogiana, conducono lo spettatore veneziano e terrestre dell’opera di Andreco ad una riflessione interiore, tutt’altro che soporifera, piuttosto tagliente ed inevitabile, quasi aliena rispetto alle proposte abituali del panorama contemporaneo, liricamente traghettante l’Arte ad una dimensione di baluardo per l’esistenza umana.