Lontani dal brusio delle cose, dai rumori assordanti del quotidiano, in luoghi intimi o isolati, solitari e ai “confini” della società mass-mediale intrisa di divertissement, esiste solo il silenzio. Oppure il silenzio non esiste?
Da questa domanda muove la ricerca di Giuseppe Negro, che fa del silenzio la voce della sua coscienza e la radice della sua intimità: un metodo, oltre che una ricerca; una necessità interiore, oltre che una manifestazione esterna del suo essere. Non è il silenzio di chi è dominato dall’impossibilità di raccontare, né è la parola che dice solo se stessa senza rimandare ad altro. Il suo silenzio mira a rifondare e ridestare l’unità dell’essere, per non perdersi nella molteplicità delle cose inautentiche del mondo, ma neppure nei meandri della medesima egoità. È la condizione attraverso cui scoprire se stessi e contestualmente svelarsi nell’incontro con altri, giacché il silenzio è – per l’artista – quell’orizzonte di senso entro cui accogliere il fondamento di ogni realtà, propria ed altrui. Prepararsi al silenzio non è ascetismo, ma affidamento e pratica di ospitalità nel duplice senso relazionale del termine. È essere ospitati dal silenzio e, nel contempo, ospitarlo in noi. È ospitare l’alterità, fare spazio alle voci, al senso, a chi ci si fa prossimo. Il raccoglimento nel silenzio si fa apertura autentica verso l’altro-che-parla. E così Giuseppe Negro crea, nella sua mostra personale al Museo Marca di Catanzaro, un luogo in cui la duplicità dell’incontro con se stesso e con l’altro avvenga, in cui oggetto di scambio – o da scambiare – siano i suoi ricordi più preziosi; un luogo – metafora del suo mondo interiore – in cui raccontarsi e in cui ognuno possa predisporsi all’incontro.
Nella mostra, la camera anecoica non è il luogo della mancanza, poiché il silenzio al suo interno non è né soffocante, né un peso. Essa è un luogo sacro, di raccoglimento, in cui si susseguono e si affollano i pensieri; è quel momento di intimità quotidiana, in cui sono esaudite la necessità personale di vivere il silenzio e la richiesta al fruitore di condivider tale condizione per esser trasportato nell’universo interiore dell’artista.
Negro realizza un unico spazio esistenziale, che si articola in cinque ambienti strettamente collegati: sono luoghi intimi che tracciano un percorso solitario, che vive di un movimento circolare dall’esterno all’interno e ritorno, in una sorta di sospensione temporale. Un rigoroso silenzio, interrotto solo dal respiro del fruitore, è il filo conduttore di questo viaggio, il cui racconto si trasla in forme geometriche, in tessere di legno bruciato, che custodiscono ricordi e frammenti di vita. Un letto, un lampadario, alcuni reliquiari, immagini in movimento di paesaggi familiari sono gli appigli pseudo-concreti di un mondo che si finge reale, non solo perché realtà fisica e realtà fenomenica non coincidono mai, ma perché nella camera anecoica tutto appartiene alla psiche dell’artista. Tutto rimane al suo interno. Il viaggio del visitatore – di quell’altro a cui viene richiesto il silenzio, per predisporsi all’incontro – si compie tra le pareti della sua mente: nessun oggetto ne è estraneo.