La nuova mostra di Giovanni Termini alla Galleria Vannucci Arte Contemporanea di Pistoia rappresenta una tappa ulteriore del fascicolo creativo che l’artista ridefinisce costantemente, da dieci anni a questa parte, per dar luogo a un progetto polimaterico dove la spazialità si intreccia con la temporalità dell’azione, continuamente inserita nel mondo materiale.
Preso a prestito da un divieto trovato su una parete della galleria (la cui nuova sede è l’edificio industriale che, come ricorda Silvia Evangelisti, «ospitava le officine elettromeccaniche e ferroviarie Storai»), il titolo della mostra – Vietato eseguire lavori prima di avere tolto la tensione – è già di per sé testimonianza di una riflessione che pone al centro dell’attenzione una pratica di adattamento, di comodità e di controllo del reale.
C’è, in questa mostra, un’opera grandiosa che lascia intravedere quale perfetta sintesi di istinto e di intelligenza affiori nelle nuove forme proposte da Termini, sempre pronto a assecondare una intuizione vivace, un perspicace spostamento che va dalla realtà ai concetti grazie al disinvolto utilizzo di due procedure che hanno vinto su tutte le altre – il collage e l’assemblage – e che restano inamovibili, dominanti in ogni atto che si oggettiva in forma. Si tratta di Tempo instabile con probabili schiarite (2018), l’installazione a dimensioni ambientali realizzata con ferro zincato sedie in PVC e legno, che formalmente è una tettoia, un’esterno collocato all’interno e posto frontalmente rispetto alla grande vetrata della galleria per creare un riuscitissimo gioco geometrico tra la struttura architettonica contenente e quella contenuta, tra l’arco di volta del capannone e la copertura a forma di timpano, che richiama tra l’altro alla memoria la struttura dei templi greco-latini.
Nel processo di decontestualizzazione e di defunzionalizzazione dell’oggetto o del materiale, Giovanni Termini insinua ora una tracia ulteriore che se da una parte prevede il tempo di lavoro inteso come unità di misura dell’agire umano, dall’altro riapparecchia lo spazio che diventa a pieno titolo parte integrante dell’opera («lo spazio è memoria, condivisione e libertà» precisa l’artista in una whatsappata a chi scrive), contenitore muto atto non solo ad accogliere l’opera ma anche a interagire con questa in un gioco di costante rimando, di costante ricerca tra l’aperto e il chiuso, tra il vuoto e il pieno ridefiniti come unità. Testimonia pienamente questo atteggiamento l’opera intitolata Spazio in solido (2018): una valigetta in cuoio con rinforzi metallici – una di quelle da elettricista, a forma di bauletto – che ospita al suo interno un blocco di cemento a presa rapida la cui forma rappresenta il vuoto, l’estensione spaziale (lo spazio interno) della valigetta amplificata fino a fuoriuscire e a dialogare con l’ambiente che lo ospita, a mimarlo e a ridefinirlo in quanto pieno massicciamente pieno.
Modificato dall’azione dell’artista, lo spazio diventa cosa altra, terreno fertile nel quale evidenziare l’accadere («nel fare spazio parla e si cela un accadere» ha suggerito Heidegget), ambiente mediante il quale esprimere appieno il desiderio di interpretare il luogo di lavoro per farlo diventare, seppur momentaneamente, opera d’arte totale. Con questa mostra Termini rompe definitivamente il sonnambulismo delle abitudini – di quei processi lineari che per Bergson rappresentano un’imitazione intelligente dell’istinto – per porre fede nella materia e nella memoria, per azionare un discorso riflessivo affidato all’immagine, alla forma.
Versatile e linguisticamente babelico, Termini propone anche alcuni disegni che registrano lo spazio espositivo prima del restauro (denominati Scarti di un’indagine, 2018), un laterizio sospeso da cavalletti (L’equilibrio dell’incongruo, 2018) e una serie di calendari erotici (Data certa, 2018) ritrovati in officina sempre prima della riqualificazione e ritagliati per lasciare intravedere, per accennare, per rendere tutto più croccante, ironico, spigoloso, gioiosamente partecipativo. E la partecipazione, non dimentichiamolo, è un ingrediente indispensabile per Termini che quando entra in un luogo, qualsiasi esso sia, sente l’esigenza di creare una duplice relazione: con il luogo e con chi quel luogo lo vive.
Giovanni Termini
Vietato eseguire lavori prima di avere tolto la tensione
a cura di Silvia Evangelista
Galleria Vannucci Arte Contemporanea
Via Gorizia, 122, 51100 Pistoia PT
Fino al 20 gennaio 2019