Giovanni Gaggia con Ch’arsi di Foco, personale a cura di Milena Becci, al TOMAV centro d’arte contemporanea di Moresco (FM), entra in uno spazio particolare, di grande impatto e fascino, una spettacolare torre eptagonale di 25 metri che domina interamente l’antico borgo. Il progetto espositivo, che segue lo sviluppo architettonico verticale dello spazio (sono cinque i livelli occupati dalla mostra, quanti i piani della torre), diventa “movimento”, assecondando concettualmente la poetica dell’artista, fino a giungere alla terrazza esterna dove, Gaggia propone un ideale confronto con il paesaggio.
Il cammino lungo questo percorso inizia con tre disegni, voluti fortemente dal direttore artistico Andrea Giusti. Si tratta delle note matite su carta con traccia ematica dove, delicati intrecci di segni si trasformano in profili di farfalle, ovvero un trittico montato su alluminio di carta Fabriano fatta a mano e sfrangiature a vista che offre subito l’impronta semantica dell’intera mostra. È come se Gaggia, in sintesi, suggerisse sin da subito l’idea di un “volo”, che inizia nella concretezza della materia, per passare dal corpo quale conduttore per elevare lo spirito.
Salendo, si osserva infatti il mutare delle farfalle dei disegni in immagini sacre, pregne di significato dato dalla stessa traccia ematica, ovvero l’impronta di un cuore reale, lo stesso che mummificato è all’origine delle due delicate ceramiche bianche e dorate che incontriamo al successivo terzo piano e che, poste su basamenti grigi lasciano trasparire la delicatezza e le cromie delle opere centrali. La particolarità di queste, infatti, di recente produzione, è la leggerezza. Tenendole in mano il loro peso è impercettibile, così la loro delicatezza e fragilità sono metafora perfetta dell’esistenza umana, riproponendo in ultima analisi la giusta relazione con il muscolo del cuore e che, se vogliamo, si offrono – sotto il profilo della ricerca – come materializzazione del suo fare meditativo che, lo ricordiamo, tra disegni, ricami e ceramiche, come in ogni suo ciclo, nasce da un’azione performativa.
La ceramica la ritroviamo anche protagonista dello scenario del successivo piano con un’opera inedita e di grande impatto visivo: 55 metri di corda con, all’inizio e alla fine, due morsetti dorati, che condensano idealmente il racconto di dieci anni di ricerca dell’artista, del suo spazio e del suo confine. Si tratta, infatti, della corda che ha diviso il giardino dalla sua casa e che, di volta in volta, a ogni rottura, egli stesso ha ricongiunto. Nella preziosità della ceramica si enfatizza, infine, anche il senso della narrazione che accompagna da sempre l’opera di Gaggia, oltre che di un tema più che mai attuale, ossia quello del confine che da privato si fa pubblico e quindi politico e dei legami che si stringono all’interno di un’abitazione. Quella di Gaggia è, infatti, una “casa speciale” perché aperta agli artisti che da più di 10 anni la frequentano, ma anche a chiunque desideri avere un rapporto autentico con l’arte, tanto da essersi trasformata nel tempo in una delle residenze d’arte più accreditate del panorama artistico italiano.
All’ultimo piano, alla penultima sezione, dalla corda si passa al filo. Qui incontriamo un arazzo di circa quattro metri che domina la sala, un damascato blu con al centro la frase Ch’Arsi di Foco, titolo alla mostra tratto dal Primo Amore di Giacomo Leopardi, le cui parole si sovrappongono all’audio che accompagna il visitatore durante tutta l’ascesa lungo la torre. L’arazzo e l’audio, realizzati entrambi durante una residenza dell’artista in Campania, a Buonalbergo, sono il residuo concettuale di voci di uomini e donne che hanno risposto in quel contesto ad una domanda: “Quale è la prima cosa bella che hai avuto dalla vita?” seguita all’ascolto della canzone di Nicola di Bari “La prima cosa bella”, nella versione di Malika Ajane dove, nel mixaggio di culture differenti, l’artista ha evidenziato l’importanza dei legami nella vita.
Nella stessa sala dell’arazzo, infine, si osserva una pila di carta sui cui fogli sono impresse le parole del Poeta di Recanati, sicché è possibile per lo spettatore trattenere con sé la poesia di Leopardi che, metaforicamente ci introduce verso l’ultima salita. Si percorre pertanto una scala a chiocciola che conduce sulla terrazza dove, mentre lo sguardo è rapito dalla sconfinatezza della valle, si osserva sul lucernario centrale la presenza di due frecce dorate. Una ci invita a guardare verso Recanati, l’altra verso la Sibilla e, allo stesso tempo, non sfugge come su un lato importante della campana, sia presente l’attorcigliarsi di una lucertola, simbolo del male, oltrepassata dalla freccia stessa che, come una sorta di augurio di speranza, porta via con sé tutta la sua simbologia, invertendone il significato originale.
Questi sono i legami – scrive Milena Becci, nel testo che accompagna la mostra – Queste le emozioni da cui poesia e arte prendono vita in uno slancio creativo che sorpassa i secoli e le mutazioni che da questi derivano, mentre essi scorrono inesorabili. Legami fra territori, fra persone e fra singoli individui e luoghi che abitano, momentaneamente o permanentemente. Diventano rifugio, fanno sì che accettare o rifiutare una relazione siano facce di una stessa medaglia che viene lanciata verso un destino apparentemente ignoto. Un travaglio e altresì una gioia che, con il colore dell’oro, preziosa e luminosa, ci attanaglia facendoci sentire vivi nello spirito e nella carne in un insieme di calde sensazioni.
[…] Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro Che voglia non m’entrò bassa nel petto,Ch’arsi di foco intaminato e puro. […]
Giovanni Gaggia – Ch’arsi di Foco
Fino all’8 settembre 2019
TOMAV – TORRE DI MORESCO CENTRO ARTI VISIVE
Piazza Castello (63010) Moresco – Moresco (FM) – Marche
Orari di apertura: da venerdì a domenica ore 18-20