Una stanza buia e vuota, un neon rosso che segna il perimetro dello spazio, una musica che sembra un’eco lontano… È in questo modo che la Galleria Franco Noero accoglie il visitatore e gli dà il benvenuto nella fruizione dell’esposizione temporanea dell’artista Francesco Vezzoli.
Il percorso continua: un’altra stanza buia e vuota, il neon rosso a terra e il sottofondo musicale che aumenta leggermente…
Disorientamento: dove sono le opere? Che mostra è questa?
La terza stanza presenta le medesime caratteristiche e il volume della melodia è cresciuto ancora. Ormai rassegnato, lo spettatore inizia a pensare che il lavoro dell’artista consista semplicemente in una sequenza di ambienti. Lo sbigottimento, insinuatosi nella mente di chi sta camminando, lascia spazio ad una sensazione di terrore quando, dirigendosi verso la quarta stanza, lo sguardo intravede, attraverso la porta che collega le due stanze, una statua che gira su se stessa, a ritmo di quel motivetto che, se all’inizio sembrava lontano anni luce, ora pervade la stanza. Tutte le convinzioni che ci si era fatti svaniscono di fronte al milite romano. Ora all’atmosfera misteriosa si sostituisce la confusione accompagnata dalla curiosità che spinge ad indagare la motivazione sottostante questa strana esposizione, quasi definibile sublime. Finita la contemplazione e avendo appagato l’apparato visivo, il visitatore prosegue il percorso, che comprende altre tre stanze identiche alle prime, con l’unica differenza che la musica adesso è decrescente.
Questa è l’esperienza di una persona che, come me, ha deciso di mettere al primo posto la percezione pura della mostra, senza l’interferenza di un giudizio preconcetto derivante dalla lettura del foglio di sala. La scelta di lasciare il momento dedicato all’informazione alla fine della visita, mi ha permesso di fruire il tutto secondo le effettive intenzioni di curatore e artista, che insieme hanno studiato la modalità allestitiva ispirandosi al cinema horror italiano degli anni Settanta (film come “Profondo rosso”, “Suspiria”…) e posso confermare il fatto che ogni intento legato alla volontà di creare un percorso ascensionale, spaesante e coinvolgente emotivamente, risulta efficace. Questo contesto, dunque, oltre a dichiarare una continuità col pensiero di Vezzoli legato al mondo del cinema, consente un’immedesimazione e un’immersione dello spettatore, ampliando la consueta illustrazione del lavoro di un artista ad una dimensione globalizzante, estendendo la concezione di “opera d’arte” alla totalità dell’esposizione. Se ci si sofferma sulla statua rotante in sé, ci si rende conto che perderebbe di significato astraendola dalle circostanze date in questa sede e verrebbe recepita in quanto semplice ripresa di un classicismo ormai lontano e dimenticato. Lo scopo di Vezzoli, invece, è quello di privare l’oggetto dell’aura aulica che solitamente lo circonda, abbassandolo ad una situazione inferiore. Per fare ciò l’artista utilizza l’ironia: da un lato, a livello fisico e materiale, ponendo la sua firma attraverso una lacrima dorata che scende dall’occhio del milite e inserendo, sulla schiena della statua, una seconda testa che fuoriesce da un taglio altrettanto dorato, anch’essa piangente; dall’altro, su un piano più concettuale, sembra di essere di fronte ad un carillon a dimensioni reali, facendo ruotare la statua su di un piedistallo kitsch che richiama i templi-piramide Maya, accompagnata dal sottofondo di Wendy Carlos. L’interesse per la classicità è una costante nel Vezzoli più recente, ma, nonostante il cambio di registro rispetto alle opere precedenti, permane l’idea di sfruttare un’iconografia dotata di vita propria e appropriarsene per poi detronizzandola. “C-CUT – Homo Ab Homine Natus”, il titolo dell’opera, avvicina ulteriormente l’artista al mito dell’antichità su un piano narrativo e metaforico, perché il tema dell’uomo che nasce da uomo, oltre ad esprimere un forte maschilismo, richiama la nascita di Atena dalla testa del padre Zeus, ma il parto a cui noi assistiamo è un parto carnale, fisico, colmo di sofferenza e dolore, come si può evincere dalle lacrime. Ma la sacralità dell’atto che dona la vita, perde a sua volta la solita connotazione, perché ci viene presentato con un senso di humor che spezza l’intensità del momento.