È un tempio sacro del corpo quello cristallizzato dalla fotografia di Francesco Brigida nei colonnati delle cornici fotografiche che racchiudono la delicata ricercatezza di un tenue disporsi delle membra nel candore immortale dell’eterno marmo e in un bruno orizzonte dall’aura contemplativa. Le contraddizioni – che si manifestano nel processo d’ideazione – si fondono con l’archivio di riferimenti per generare una scrittura contemporanea e seduttiva. La lirica cromia dell’incarnato dà voce a una tradizione storico-artistica che attribuisce valore simbolico e fatato in un passionevole studio coloristico. Lo spostamento dell’inquadratura per Stvdio per vna scvltvra sembra seguire, nel suo profilarsi sequenziale, le parole che Rodin pronunciava in riferimento alla sua scultura, quell’operare «in modo che i profili del mio modello e della mia argilla si presentino simultaneamente e io possa vederli insieme. […] L’importante è guardare i profili dal di sopra e dal di sotto, dall’alto e dal basso, […] cioè, rendersi conto dello spessore del corpo umano». Non è la potenza muscolare a essere ricercata dall’artista, quanto una posa “del sentimento” che il modello o la modella restituisce come slancio del contingente. Il nostro ha lavorato per due anni consecutivi con la stessa modella, fino a percepirne lo spirto interiore, di cui i movimenti corporei sono riflesso nello spazio.
La divina leggerezza ideale si perde, pertanto, in un forte sentire che anima il nostro tempo, imprimendo nella scultura una materia palpabile e vera per una caduca relazione con l’umano. La possenza dei corpi michelangioleschi si abbandona a una bellezza neoclassica che dialoga con un respiro vitale coevo, come Antoniette Le Normand-Romain scrive su Rodin: «(i nudi) femminili sono dotati di un’eleganza che fa rivivere lo spirito del Settecento.» I movimenti, in cui è fissato il corpo della modella, ricordano quelli dei soggetti della Porta dell’inferno di Rodin, con l’intento di cogliere un’annotazione veloce di una sensazione in un diario formale ed emotivo, redatto in due anni. Probabilmente, anche per il nostro, è la parola di Rilke a dichiararsi precipua alla profondità, con cui il corpo è piegato dall’anima. L’io interiore plasma le rilevanze gestuali che la mente detta nel proprio essere, come abito nello spazio. La selezione di fotografie, presentate all’AOCF58 – Galleria Bruno Lisi, nel cuore di Roma, è parte della serie Studio per una scultura, allestita per la prima personale dell’artista alla Alessia Paladini Gallery di Milano. La movimentazione delle opere fotografiche nella Capitale ha restituito, grazie alla curatela di Camilla Boemio, il giusto tessuto espositivo, ripercorrendo fedelmente l’intenzionalità dell’artista, scardinando e re-introducendo, nella labilità del vedere, un nuovo percorso di senso, in cui le pareti della galleria si fanno fogli per una nuova grammatica tracciata nell’oscurità. Le immagini sono vanitas legate alle fantasie individuali emerse dallo scontro tra l’individuo e gli effetti antropologici e culturali del nostro secolo. In questa accezione possiamo desumere l’aderenza “non commerciale” della serie realizzata che, tuttavia, mostra una sua matrice legata al linguaggio della moda. Il punctum ben si coglie nell’abbandono del corpo femminile nel fondale, in cui appare evidente la distruzione dell’analogon de La morte di Marat. Dipinto, tuttavia, formalmente analogo, anzitutto per il braccio di Meleagro, soggetto consultato nei diversi secoli dai più grandi artisti. Il lavoro ricorda altri studi fotografici sul genere femminile, come quello di Irving Penn, in Earthly Body (1949-50), dal quale si discosta per una disseminazione, nei contorni figurali, di un affioramento della forma, mai delineata da un tratto netto che accoglie il peso dei nudi del fotografo statunitense. Certamente evidente, invece, è l’evocazione che rende fluttuanti i corpi tra una dimensione reale, una metafisica e una onirica, in grado di richiamare alla memoria la carica erotica e sognante di un femmineo surrealista, innestando una fioritura di uno stato duale a metà tra il sogno a occhi aperti e la realtà più nitida. L’etere spaziale, infatti, è pregno di un nervo psichico, riconoscibile anche nell’operato di Man Ray. Nella solitudine dell’azione, il corpo cerca, altresì, una relazione con il visitatore, suggerita anche dall’altezza a cui è stata allestita la serie e che consente di inoltrarsi, laddove lo sguardo del fotografo confluisce con il punto di massima emotività, percepito dalla modella. Il corpo diviene pigmento niveo che si staglia nel suo negativo per elaborare una forma-pensiero del contemporaneo. Ciò avvicina la finezza della sinuosità fragile di Brigida a quella eloquente di Edward Weston e a quella adamantina e deformante di André Kertész. Per Weston, d’altra parte, il corpo è un oggetto qualunque da svuotare da ogni psicologia, mentre per Kertész, valore primario è quello della distorsione legata alla nuova percezione della reciprocità di vedere il proprio corpo e, sincronicamente, quello di vederlo osservato. Francesco Brigida, invece, traspone soavemente il corpo femminile in un’incantata zona disillusa dalla realtà.
L’artista, oltre ad aver lavorato per marchi come Valentino, Serge Lutens, Dior, Etro, Armani, Christophe Lemaire, Hermès, Kering group, Trussardi, Mila Schön, Tod’s, Max Mara, Gianfranco Ferrè, Loro Piana, Dolce&Gabbana, Ferragamo, Hogan, Uma Wang ed Erdem etc., dal 2011 al 2016 è stato Direttore creativo di The Greatest Magazine. Nel 2021, ha pubblicato il suo primo libro Studio per una scultura, con edizioni Linke. Attualmente vive e lavora tra Milano e Parigi.
FRANCESCO BRIGIDA | Stvdio per vna scvltvra A cura di Camilla Boemio Sostenuto da Animal Paris, Feline Studio, Color System Milano, Sea WardOfficial, Luzzart aps, Cantina vinicola Villa Lazzarini Graphic design Niccolò Pagni AOCF58 – Galleria Bruno Lisi – Via Flaminia, 58 a Roma Dal 5 febbraio al 23 febbraio 2024 Mail: aocf58@virgilio.it