Il re, anzi la regina è nuda per l’inaugurazione della Rome Art Week (www.romeartweek.com). Lo dichiara la performance “Quel che resta” di Francesca Romana Pinzari (www.francescaromanapinzari.com). Tra i numerosi eventi e appuntamenti nel calendario della prima settimana dell’arte capitolina, lunedì 24 ottobre l’inaugurazione della collettiva “Nature diverse” vede l’artista mettersi a nudo, in occasione di una struggente performance, incentrata sul tema del dono e dell’offerta di sé.
Con le lunghe chiome sciolte, simile a una divinità botticelliana o a una Madalena penitente contemporanea, e con il corpo interamente rivestito di gambi e corolle di rose rosse, Francesca Romana Pinzari conduce un seducente défilé nel cuore della mostra. In mano un paio di cesoie, attraversa lo spazio espositivo con un incedere ieratico e dona, a chi del pubblico si fa avanti o a chi l’artista stessa decide di coinvolgere, un pezzo di sé, dei propri ricordi, della propria passione: in forma di rosa. “È una rosa carnale di dolore”, certo, come scrive Pier Paolo Pasolini nella lirica intitolata appunto “Poesia in forma di rosa”. Ma quello che Pinzari offre è qualcosa di più.
Per spiegarlo, proviamo a prendere in prestito ancora dei versi di Pasolini tratti dall’omonima raccolta: “Alle volte è dentro di noi qualcosa / (che tu sai bene, perché è la poesia) / qualcosa di buio in cui si fa luminosa // la vita: un pianto interno, una nostalgia / gonfia di asciutte, pure lacrime”. Si potrebbe argomentare che la performance di Francesca Romana Pinzari abita questa parentesi pasoliniana che conosciamo bene, pur spesse volte smemorandola, che è lo spazio denso della poesia; la muove – avvicinandola, allontanandola – come fosse un lieve sipario frusciante e ci introduce in una dimensione minima di intimità svelata, di forzatura del silenzio, di sospensione della diffidenza. Per inverare un remake della favola di un San Tommaso che ancora mette il dito, fino in fondo, anche se con paura, con tutto quel pudore cristiano da cui non riusciamo a liberarci.
Il nudo dunque è la risposta, anche in questo 2016 di immaginari erotici sovraesposti e di macelleria di guerra permanente e anestetizzante. Il nudo ci chiama e certo ci risponde, quella crudità giustamente (o forse inconsapevolmente?) evocata dall’acronimo del titolo stesso della manifestazione (RAW): ovvero quanto di irriducibile, di indifendibile, di primario e scomposto resta all’epifania dell’arte, in un marasma caotico di meticolosa e precisa commerciabilità in cui siamo gettati.
Mentre si lascia marginalmente toccare dall’incontro con l’artista, assaporando appena il gusto mondano di una pruderie altamente desiderabile, lo spettatore si rende lui stesso protagonista e rende esposta, con il suo vestiario intatto, la necessità che le spine delle rose feriscano il corpo e graffino le gambe della performer, che è ancora corpo sacro dell’arte. Corpo di una sacralità non assoluta, ma da consumare nell’attrito quotidiano. E così il florilegio di Francesca Romana Pinzari conserva in sé tutta l’ambivalenza del simbolo che si incarna nella tragedia quotidiana dei mille venditori di rose agli angoli delle strade e tra i tavoli dei nostri ristoranti, stranieri, certamente sfruttati. Facendo in modo che l’arte, giù dalle vette, torni ad abbracciare il presente, a farlo sanguinare con tutte le sue contraddizioni.
“Quello che resta”, alla fine, è un mucchietto di petali rossissimi e di gambi recisi. Parla di noi, del nostro passato, delle nostre mancanze, delle mille cose trattenute, della magia del dare e dell’incredibile rivoluzione di quel dispendio da Georges Bataille mirabilmente illuminato. “Quello che resta” è una vanitas per spettatori distratti, fattasi esercizio di un’opera d’arte effimera, punto di fuga di una prospettiva collettiva e abitabile. È lo spazio della condivisione di un sentimento in cui ancora confidare, di una possibilità di comunicazione ulteriore, incarnata nel dono del fiore più bello, destinato però inevitabilmente all’obsolescenza e allo spreco senza rendita.
Tutto questo, dentro l’utero più grande della collettiva “Nature diverse”, che attraversa la Rome Art Week, proseguendo oltre. La mostra si pone l’obiettivo di declinare l’idea plurale di natura mettendo a confronto l’io dell’artista con l’ambiente che lo circonda, tra visioni di fiaba e fili di preghiera, suggestioni della storia dell’arte e richiami ancestrali. Raccoglie le opere di Matteo Basilé, Simone Bergantini, Teresa Emanuele, Angelo Marinelli, Davide Sebastian, Maria Semmer, Melati Suryodarmo e della stessa Francesca Romana Pinzari, autrice della performance inaugurale. Visitabile fino all’8 gennaio 2017 presso Visionarea Art Space, in via della Conciliazione 4.