Elias, seduto su una poltrona dello studio, rifletteva: “certo nessuno poteva immaginare quale era la sua reale situazione …”. D’improvviso, chissà perché, ricordo il volto di quella donna, Gioconda con i Baffi, una compagna di scuola della sua prima figlia, carina davvero, con gli occhi e lo sguardo strano,che, quando ti osservava, sembrava trasmettere la sensazione come di un fuoco dada che penetrasse nello stomaco.
Ma guarda che gli veniva in mente ora! “Hai sessant’anni, capisci, e le donne ormai non ti degnano più di uno sguardo … l’impeto e il fascino del fotografo si sono dileguati insieme alla fine dei reportage e delle riproduzioni di vecchie opere dada, di quelle riproduzioni non rimane che la duplicazione della riproduzione,l’unica cosa d’avanguardia è quel baffo che disturba su uno slogan da puttanaio: Elle a chaud au cul ([el aʃ o o ky … Ella ha caldo al culo …“. Poi gli tornava quella sensazione di disagio … Doveva telefonare al fratello di Marcel, non doveva dimenticarsene, altrimenti rischiava di non ottenere il prestito alla Banca, per lo sponsor della sua Mostra, e fra tre giorni scadeva un effetto di un milione e mezzo circa … accidenti! Ma come aveva fatto a cacciarsi in una situazione così difficile … così intricata …
Com’era simpatica però quella riproduzione, con quel falso sorriso così dolce, quei baffetti e quel pizzetto così invitante … Ci risiamo!
Si distese sulla poltrona allungando le gambe, poggiando la testa sulla spalliera assai bassa. I suoi occhi si posarono sulla riproduzione incorniciata al centro della parete di fronte.
La conosceva bene,l’aveva studiata nei minimi particolari. Rappresentava il mezzo busto di una donna, una sconosciuta ma al contempo molto familiare con il nulla dadaistico nell’espressione. Era stato il regalo di nozze di un amico, uno scapolo con i suoi celibatori. Il fotografo che lo aveva riprodotto era stato un suo buon conoscente, una persona geniale che alternava ready-made di valore a piccole cose riprodotte o replicate da altre riproduzioni che vendeva agli amici a prezzi bassissimi, quasi obbligandoli, quando la fame si faceva sentire, spietata e al limite della bohem new-dada.La fotografia che aveva dinanzi ai suoi occhi l’avevano reputata una di quelle buone ed a Elias piaceva soprattutto per il tono dei colori riprodotti, così armonicamente falsi da dare una sensazione di piacevole simulazione, di inevitabile simulacro, di insopprimibile desiderio di fraudolento candore moderno. La donna però non gli piaceva. Gli sembrava troppo attraente ed assimilabile alle ambiguità queer e gender, troppo pronta per gli americani sconfessati da Antonin Artaud in Per farla finita con il giudizio di Dio,il suo sguardo era tanto espressivo quanto inespressivo,ed a volte, a Elias così sembrava, diventava mediamorfotico, in una parola cattivo.
Ora,da questa posizione che aveva assunto, guardava la riproduzione con uno stupore sincero, con quella emozione di sublime che risaliva a Kant e che non riusciva a domare, neanche quando vedeva e rivedeva i film di David Lynch. Quella donna che lo stava guardando non era più la gender anonima di sempre. Era diventata una donna dolce ed enigmatica, un po’ Tristano e un po’ Isotta, un po’ Gorgone e un po’ la realtà concreta del sistema artistico contemporaneo! Perfino il colore degli occhi era cambiato, da marrone scuro era diventato nocciola ed a Elias sembrava come se lo guardasse con la dolce menzogna della verità artistica, anche se vi era in quello sguardo qualcosa di deduttivamente ironico.
“Strano” si diceva, “anche i capelli sono diventati lunghi e morbidi e il naso da marcato e regolare, ha assunto una linea diversa; l’espressione scimmiottava la parola di Hugo Ball o al massimo della moglie di Francis Picabia”; cercava nella sua mente la parola adatta per spiegare il ready-made modificato donna e riproduzione di donna che però non gli veniva … “ francese o inglese, ecco francese o inglese forse … e quelle labbra così morbide e sensuali, sembravano sussurrargli la condizione dell’arte contemporanea …”.
Elias si stropicciò gli occhi e si tirò su a sedere ritto sulla poltrona. La riproduzione misteriosa era sparita. Di nuovo la donna dello specchio, con quello sguardo freddo, assente. Elias non si rendeva conto. Non era stata un’allucinazione, di questo era sicuro. Cercò ancora la riproduzione dell’altra, ma non riuscì a ritrovarla, sebbene fosse rimasta vivissima e precisa nel suo cervello.
Si lasciò andare di nuovo all’indietro ed ecco ancora quello sguardo ammiccante, quel sorriso enigmatico, quella bocca tenera e sensuale, tipica di una riproduzione da ready-made, tipica di una decuplicazione aggiustata, foriera di un facsimile da rigattiere. Elias rimase a lungo fermo, immobile. Cercava di capire, riflessi e contro riflessi, immagini organiche e contro produzioni. Ma certo!Un gioco di luci. Le coppe bianche del lampadario mandavano un bagliore tenue che sembrava sforare la fotografia, baciandolo con riflessi sottili; ed avveniva il miracolo: quella donna fredda e insensibile, dai lineamenti marcati,inespressiva, anzi al limite dell’inespressionismo, riflettendosi in uno schermo video, si trasformava in una giovane donna bella, di una dolcezza e di una finezza incomparabili. E quello sguardo, poi, e quella sensazione di calore … stupendi, erano al limite di una qualsiasi sensazione: “perché l’identificazione col mondo delle donne è inutile. Bisogna cogliere le cose mentre sono morte, o in altra congiuntura museale, in cui si assentano da sé”. Elias girò lentamente la testa verso destra. Ecco, ora sorrideva apertamente, sembrava come se volesse sussurrargli qualcosa. Improvvisamente si scoprì teso come se avesse dovuto davvero cogliere un bisbiglio, un sussurro, una parola. Spostò la testa verso sinistra. Ora aveva un’aria preoccupata, accorata, come se fosse dispiaciuta per lui, per quello che gli stava accadendo: “all’orizzonte della simulazione non solo è scomparso il mondo, ma anche la questione della sua esistenza; dell’esistenza dei suoi esseri non può più esser posta in immagine. Forse si tratta di un’astuzia dell’immagine stessa. Gli iconolatri del ready-made era gente sottile, che pretendeva, attraverso la donna queer, di rappresentare Dio per la sua massima gloria, ma che, simulando Dio-Arte nelle immagini della Gioconda, dissimulava perciò-stesso il problema della sua esistenza”.
Rimase così a lungo a guardare quegli occhi che pian piano, un po’ per volta, lo stavano stregando.
Eppure quell’immagine gli ricordava qualcuna … quell’espressione gli era nota;ma sì, per Bacco, eccola ora gli veniva in mente. Quella giovane donna assomigliava a Gradiva. Lo stesso sguardo un po’ ironico, giocondesco, un po’ malinconico, con un esplodere improvviso, verso destra di mille pagliuzze d’oro, accompagnato da un sorriso dolcissimo e di un tono di rabbia e di lascivia, verso sinistra, che si stigmatizzava nella marca dell’ipocrisia più vereconda.
Non era lei, di questo era sicuro; ma, forse, nel riflesso di lei era il facsimile che sublimava la copia e il parossismo della bellezza che biasimava la cattiveria;il colore degli occhi era diverso,per esempio era diverso da inquadrabilità ad inquadrabilità, da prospettiva a prospettiva, da linearità a linearità, da iconicità a iconicità; i capelli erano lunghi e chiari. Ma l’espressione era sua, non poteva sbagliarsi.
Accese l’abat-jour sulla scrivania. Prese il quaderno che la figliuola, gli aveva dato, erano le poesie di una artista che scriveva senza conoscere ne la sintassi,né la metrica e ne la stilistica. Voleva da lui, aveva detto, uno spassionato giudizio. Le rilesse una seconda volta, con più attenzione.
Questa giovane immagine, questa compagna ideale, per Bacco, aveva un ready-made vivente, una simulazione specchiante, un riflesso pronto a proiettare un film! Trapelava da queste scaturigini di fotogrammi una strana amarezza. La ricerca della verità dell’arte moderna, la delusione per non averla trovata o forse per averla trovata … Quanta spontaneità nel ricostruire scene di performance forse soltanto sognate o forse vissute e recitate … chissà! … presso quale galleria. E poi il bisogno di amare l’arte contemporanea, la sua immagine e quello quasi misogino di voler donare, soffrendo. Elias si sorprese ad invidiare Luca, il ragazzo cui la Gioconda, prima di ritrarsi nel ready-made, prima di ritornare nella nicchia di quella grande riproduzione, aveva dedicato una sua poesia. Sentiva per quella strana Fotografia qualcosa di più che una semplice simpatia. Si sentiva attratto verso di lei, sentiva pulsare il suo voyerismo, avrebbe voluto conoscerla meglio … al di là di quella riproduzione …
La mattina seguente verso l’una una fotomodella andò a trovarlo e lui potette riattivare il set dello studio. Parlarono a lungo; veramente fu quasi sempre lui a parlare e non riusciva a capire se quello che andava dicendo potesse interessarla o meno. Sembrava sincera quando disse: – No, no, non mi sono annoiata, è bello a volte poter parlare di tante cose, di tanti problemi di ready-made. Tornerò a trovarla glielo prometto e ancora una volta le darò dimostrazione che fuori dal quadro, fuori, dalla fotografia sono un ready-made concreto, vivente, sono una vera attrattiva new-dada.
Elias non vedeva l’ora che tornasse la sera. A suo rientro in casa si recò direttamente nello studio. Si allungò sulla poltrona. Ecco la ritrovava. Ora che aveva avuto la possibilità di osservare Gradiva, gli sembrò che la somiglianza fosse ancora maggiore. Gli stessi occhi ammiccanti di tutte le Gioconde che aveva visto al mercatino, sulle bancarelle di turno, e lo stesso sorriso un po’ tenero e un po’ amaro corrispondeva, era una vera e propria corrispondenza di sensi.
Prese il quaderno degli Appunti sull’Arte Contemporanea di Regime e, in fondo, sull’ultima pagina scrisse:
Le immagini non passano mai,
se non vi fossero le apparenze,
il mondo sarebbe un ready-made perfetto
ovvero senza delinquente
senza vittima e
senza movente.
Un delitto la cui verità si sarebbe ritratta per sempre
E il cui segreto non sarebbe mai scoperto
per mancanza di tracce.
Anche l’artista è sempre vicino al ready-made
Il suicidio perfetto, che consiste nel non dire niente.
Ma se ne distacca, il cialtrone se ne distacca e la sua opera è la traccia di questa imperfezione criminale.
L’artista, secondo Gioconda, è colui che resiste
Con tutte le sue forze
Alla pulsione fondamentale
Di non lasciare tracce.
La riflesse. – Niente male – pensò e poi si lasciò prendere e portare via dai suoi pensieri. Come sarebbe stato bello se anche lei, se anche la sua arterità, se anche l’Altro da lei che si corrispondeva nella sua essenza prostituibile (di riproduzione infinita), avesse avuto un piano di soglia infinita … Ma questo assurdo pensiero lo fece ritornare improvvisamente alla realtà. Ora guardava la misteriosa donna che dalla fotografia, dalla riproduzione si rifletteva nello schermo. Nei suoi occhi un tantino beffardi, nel suo piano di registrazione un tantino ammaliante e ingannatore,lesse una sottile ironia. Contraccambiò il sorriso e condivise pienamente il significato del messaggio.
La maschera della Gioconda Queer tornò ancora a trovarlo. Ora si sentivano più a loro agio; scherzavano, ridevano; si fecero confessioni reciproche. Sorrisero dei loro difetti, delle loro manie. Un giorno la Giocondina gli disse: – Sai, sto proprio bene con te, mi piaci, come fotografo sei un mostro di bravura e poi con tutta l’attenzione che metti per le fotomodelle sei spregiudicato, possiamo fare grandi cose insieme: sai essere divertente quando lo vuoi, sei proprio un poeta post-dadaista. Mentre scatti, mi dici tante cose di cui non avevo sentito neanche parlare …
Anch’io – la interruppe Elias, sto tanto bene con te. Mi piace … mi sembra di essere tornato ragazzo … Con te la mortificazione dell’arte moderna consiste nel fatto che essa è già da sempre compiuta: per-fectum, per+effectum. Sottrazione già prima che si produca, del mondo così com’è. Una falsità ciclopica. Essa quindi non verrà mai scoperta. Non vi sarà giudizio universale per punirlo o per assolverlo. Non vi sarà fine, così come non vi sarà bocca di Kant che tenga. Né risoluzione, né assoluzione, ma svolgimento ineluttabile delle conseguenze del ready-made!
La Giocondina si alzò, stava avviandosi verso la porta dello studio, ma Elias la fermò. Le tese una mano, spostando velocemente il mouse la guardò negli occhi, sparandole la telecamera a vivo: – Credo di essermi innamorato di te …
Vide i suoi occhi incupirsi, diventare tristi – Ho diciotto anni – disse, ritirando la mano dallo schermo e non è facile uscire ed entrare da uno schermo balordo, da un ready-made digitale.
Per Elias quella frase fu come un colpo violento alla bocca dello stomaco. Cercò di sorridere: – L’attrazione per l’arte contemporanea non ha età … – sussurrò.
Il mio mercante è un giovane di trent’anni – disse la fotomodella.
Elias si sentì come un pugile che abbia ricevuto il colpo del K.O. Prese il quaderno degli Appunti dalla scrivania e glielo porse : – Non valgono niente, se non sono ready-made non valgono niente, mi dispiace è così …
Giocondina lo prese e si avviò lentamente; oltre la porta cominciò a correre con tanta voglia di piangere. La sua immagine scattante si vedeva chiara chiara e riprodotta alla perfezione sullo schermo a cristalli liquidi. Sentì la voce di lui che le gridava:
– Non è vero,Giocondina, non è vero …
Invano la sera, seduto su quella poltrona, cercava di ritrovare, o forse, di riprodurre, ancora, la signorina misteriosa. Spostava la poltrona a destra, a sinistra, poi accendeva una luce,dava luce alla tastiera del computer, accendeva tutti i monitor e tutti i proiettori della stanza, spegneva i cellulari e i tablet, per riaccenderne tre. Niente, la dama era scomparsa. Non riusciva più a ritrovarla. Ricordava il suo sorriso dolce e strano, ma niente, non riusciva a vederlo. Si sentiva un verme, forse era un verme. Niente altro che un lombrico di merda.
Tre giorni dopo venne a trovarlo la sorella della fotomodella, Coriandolina detta anche Gradiva II. Poco più di una bambina. Tale perlomeno l’aveva sempre considerata. – Ciao bel fotografo, che fai seduto lì in quella strana posizione e rivolto allo schermo? Sembri un regista che non riesce a ritrovare più la sua pellicola e la sua protagonista da film horror! …
Elias sorrise: – Pensavo.
La seconda Giocondina si sdraiò anche lei sull’altra poltrona con le gambe allungate e la testa appoggiata sulla spalliera. Elias la vide di un tratto farsi attenta. – Che strano, fotografo – disse all’improvviso, – guarda il quadro di quel vecchio dadaista; ebbene, da questa posizione, così sdraiata, mi sembra di vedere un’altra immagine, quella di una giovane bella e con un sorriso affascinante …
Elias sorrise. Giocondina jr. non era più una bambina. Ormai era diventata una donna: – Queste cose capitano quando uno s’innamora dell’arte contemporanea … – disse bonariamente.
Giocondina jr. diventò rossa in viso. Anche Elias avvertì uno strano calore.
Frammento 3° Imagosyne: Domani è un’altra immagine all’orizzonte – dice Elias: e accompagna con lo sguardo, che si fa schermo del cappello, una fotografia all’orizzonte. Anch’io ne seguo il percorso, dietro la sua mano aperta. Vedere uno schermo è spettacolo consueto per chi vive dentro la fotografia e per di più in prossimità di uno schermo: eppure è sempre motivo di entusiasmo, di osservazione, di discussioni. Forse perché in ognuno di noi c’è il complesso di Mnemosine, più o meno latente.
Mattina immaginale.
Profumo diffuso della carta baritata appena ti inoltri verso il viraggio in seppia, triturato dagli scatti e dai passi umani.
Elias chiacchiera tranquillamente, in tono confidenziale. Le sue chiacchiere sono parole in libertà, poesie futuriste, lampi di verbalità che decondizionano l’immagine.
Elias fuma sigarette. Sigarette di lusso per un vecchio fotografo in bianco e nero.
Di nuovo ottobre.
Disappunto. E si dondola sul cavalletto debole, tutti nodi, nero come l’ebano.
– Sa – mi dice – ho trovato un occhio di Ciclope al posto di una macchina fotografica.
Infatti: un frammento abbastanza grande di guscio, ed una ripresa scomoda.
Infatti: un frammento abbastanza grande di visione, ed una inquadratura.
Lo prendo tra le dita e vi sento il palpito del cuore che n’è uscito. Forse già morto.
Ma dove muoino i fotografi?
Quando c’è vento si sente il loro grido stridulo, disperato … ma la macchina fotografica non riesce a registrarlo, dopo l’inquadratura compare solo lo scatto …
Non hanno molta forza nella sequenza prosegue Luca che ha ascoltato.
Accompagnano le traiettorie della macchina fotografica sino ad un certo punto, poi tornano indietro a cercarne altre …
Ma non si vede dove l’obbiettivo va a declinare …
Negli anfratti oscuri degli scogli; o nel mare.
Non è vero – afferma Elias.
C’è invece una vecchia favola per cui le immagini dei marinai morti entrano negli albatri e vi dimorano in stato di felicità.
Già … leggende. La macchina fotografica tuffa i grandi obiettivi nella spuma del mare e scivola sulle onde senza mai attraversarle. Tace quando il tempo è bello, ma tace anche quando è brutto, tace perché non ha la parola. Tenta di gridare durante la Tempesta ma il rumore, l’ugola non si sente. I suoi occhi non stanno mai fermi, ma le palpebre non riescono a muoversi nel tempo della voce; la voce è lì da sola che non trova lo spazio della figura; la corrispondenza è bloccata e i sensi sono dispersi!
A quest’ora in città i fotografi vanno a passeggio senza macchina fotografica. Li accompagna l’inventiva rasata di fresco; legge il tablet e ascolta lo smartphone. Ha le mani pulite, quasi trasparenti, anche se grasse e tozze. Le poetesse invece guidano lo sguardo verso i giardini per non essere viste spettinate e con gli occhi gonfi. I loro pensieri vanno lontani dall’ora, si rincorrono lungo la giornata. Intanto gli scultori annusano la terra, come se l’avvertissero per la prima volta.
Anche i sassi sono preda dell’inquadratura, della stagione, come l’acqua e il cielo. La Gradiva in shorts raccoglie valve di immagini e muscoli e sassi e pezzetti di vetro levigati dal mare per crearne installazioni, con l’aiuto del colore, flora di un paesaggio.
Tra le cose inutili degli artisti raccolti in residenza, giocattoli, ready-made, palette spezzate, stampini, come poggiate sui sassolini grigio azzurri, sembrano apparire volti ermetici di creta, nati dalla notte, sorpresi dall’alba, per colpa di un guardiano distratto, disincantati dalla luce. Isolati,grigi, indifferenti. E un graffio sulla gota. Impresso da chissà chi. Più o meno evidente.
Come modellati da vicende usuali, si confondono col colore della pianura brulla o della sabbia.
Su di loro è la luce autunnale di rinuncia, l’incantata purezza dell’aria, la musica d’acqua sulla superficie liscia non graffiata da ore segrete, ove forse vanno a morire i droni del fotografo.
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