Fosco Valentini – Visionaria 1989 – 2019 è il titolo della mostra che “Mattatoio Roma “ ha voluto ospitare nei propri locali di via Orazio Giustiniani, dal 21 gennaio al 24 marzo, come omaggio ad uno straordinario artista che non ha ancora avuto a pieno nel nostro paese il riconoscimento che indubbiamente merita. La curatela è di Giovanna dalla Chiesa il cui saggio introduttivo e le cui schede ci guidano con garbo e puntualità attraverso le diverse sezioni in cui sono raccolti i più significativi cicli di ricerca in cui può essere suddiviso il percorso artistico dell’autore, sezioni ordinate sì nel rispetto delle dovute scansioni cronologiche, ma anche messe su con l’accortezza di lasciare al visitatore la più ampia facoltà di lettura per raffronti e comparazioni, secondo un registro, del resto, ampiamente sollecitato dalla natura stessa dei lavori esposti.
Un’impostazione questa che amplifica la sensazione più stimolante che chi entra nel Padiglione 9 A, dove la mostra è allestita, prova in maniera via via più stringente, quella che vi sia tra le opere dei vari periodi – che siano esse foto, disegni, video, sculture o immagini a rifrazione variata – non un semplice filo rosso stilistico che sopravvive ad ogni ulteriore svolta e ad ogni nuova forma di trasgressione, ma piuttosto una convinzione epistemologica profonda e sempre meglio messa a fuoco nella sua essenza.
Provare a dare un nome a tale convinzione non è facile, in quanto richiederebbe non poche premesse sia concettuali che terminologiche, ma di sicuro possiamo dire che essa ha a che fare con il rifiuto del ruolo in cui la scienza moderna, dopo la svolta Galileiana, ha confinato la flagranza tecnica dei fenomeni ottici, la capacità che il dato visivo ha di sorprendere chi lo sperimenta senza pregiudizi e se ne serve per accendere l’immaginazione e calarsi entro territori non riconducibili allo schema ipotesi-esperimento-verifica (e formalizzazione), ma restano egualmente frutto di un rigore tecnico ed emozionale che non ha nulla da rimproverarsi, rispetto ad esso in quanto, come la Natura, non fa salti, e non si lascia soggiogare da archetipi collettivi e timori ancestrali, dei quali semmai riscopre le origini valutandone da un nuovo punto di vista l’aspirazione all’universalità. Una convinzione questa che per lo storico o il cultore d’arte si fa ancora più interessante in quanto è perfettamente possibile raffrontarla con l’evolversi del pensiero di amici e colleghi ( tra cui spiccano le figure di Alighiero Boetti e Aldo Braibanti) anch’essi protagonisti dello sforzo che la cultura del secondo dopoguerra fece per riorganizzare le proprie energie ed avviare una battaglia che sapesse elevarsi al di sopra del semplice compiacimento per l’individuazione delle problematiche legate all’irrompere della dimensione mass-mediale in una società che non era ormai più possibile definire semplicemente moderna.