Finissagge della mostra Into the Woods a Villa Contemporanea di Monza che ha visto protagonisti gli artisti: Antonio Bardino, Lindsey Bull, Valentina D’Amaro, Luca De Angelis e Vera Portatadino, a cura di Rossella Moratto.
Pubblichiamo il testo di Rossella Moratto
Chi ha paura del bosco?
Chi ha paura del bosco? Verde intrico di foglie, alberi e ombre, il bosco è il luogo del perdersi e, a volte, del ritrovarsi, archetipico percorso di iniziazione e di possibile metamorfosi. È la natura selvatica, incontaminata che inneggia alla spontaneità e gratuità della vita ma che infonde preoccupazione e paura. Il bosco è anche un paesaggio della mente che riflette pulsioni profonde, inesplorati istinti e inquietudini, che suscita sentimenti di apprensione, attesa e mistero ma anche desideri di evasione e di unione con la natura. Questo paesaggio interiore è il bosco descritto con i mezzi della pittura da Antonio Bardino, Lindsey Bull, Valentina D’Amaro, Luca De Angelis e Vera Portatadino. Non vedute en plein air ma proiezioni intime che racchiudono l’indicibile, rappresentano pensieri e sensazioni che la natura scatena come luogo altro e sconosciuto e che sarebbe impossibile rendere se non per metafora. Un nuovo romanticismo, inteso come recupero della dimensione sentimentale, della parte irrazionale del flusso creativo che si manifesta in molteplici forme perché i sentieri del bosco sono molti e ognuno trova il proprio, esplorando la propria interiorità.
Valentina D’Amaro da sempre sceglie il paesaggio come soggetto prediletto attraverso cui cogliere aspetti del mondo e di sé altrimenti invisibili. Il dato oggettivo, pur presente in fase iniziale, viene filtrato dalla razionalità ma soprattutto dal sentimento, liberandolo dall’accidentale per arrivare a una potente sintesi che lo condensa in un’immagine atemporale, con un peso specifico evidente, dato dal colore saturo e vibrante, con forti valenze simboliche, come in Senza titolo (della serie Vespro). La pregnanza catalizzatrice dell’energia cromatica crea una risonanza – analogamente a quello che avviene nell’ascolto della musica – che, attraverso lo sguardo, sposta la coscienza verso un altro stato, quasi meditativo. È una visione archetipica in cui la dimensione materiale e spirituale si incontrano: la pittura come veicolo di trascendenza che aspira ad avvicinarsi al sublime, sia che si tratti dei paesaggi diurni, solari, dominati dall’inconfondibile verde sia di quelli qui presentati, vespertini e dal carattere più intimista e riflessivo.
Quasi in direzione opposta, Vera Portatadino, dipinge con pennellate più leggere e sinuose, dando grande respiro alla sua pittura. La sua è un’immersione contemplativa nella natura: in Dark Walls and Magnets, opera di grande formato, congeniale all’artista, ritrae una passeggiata notturna nel bosco dove il senso di sospensione dell’ignoto dato dalla coltre oscura, apparentemente impenetrabile, è squarciato dal biancore di un sentiero innevato che invita irresistibilmente a entrare. È una seduzione misteriosa che attira, contro ogni precauzione, verso il non conosciuto, una tentazione a lasciarsi andare a un sentire intuito che mette in crisi ciò che sappiamo. Una pittura che non descrive ma suggerisce empaticamente un’esperienza vissuta, quasi fosse la traccia di un ricordo o di un sogno in cui l’evocazione del bosco è realtà e fantasia al contempo, complessa sovrapposizione di vissuti personali e suggestioni letterarie e filosofiche – Buzzati, Thoreau, le favole dei fratelli Grimm, tra gli altri – e reminiscenze di momenti di grazia in cui la bellezza, precaria e impermanente, si fa cogliere per poi scomparire.
Un’analoga aurea di mistero e ambiguità caratterizza la ricerca di Lindsey Bull, indagata soprattutto attraverso la figura umana in relazione alla natura. I suoi personaggi, contemporanei uomini e donne di straordinaria intensità espressiva, sono portatori di un’inquietudine interiore –il rimosso dell’apparenza gioiosa della società del consumo – che si manifesta tramite riti personali di cui le maschere e i costumi indossati da alcune figure sono l’evidenza. L’artista rielabora sia la tradizione paesaggistica sia quella del ritratto per fonderle in un insieme originale, in una pittura tecnicamente varia, caratterizzata da addensamenti, stratificazioni e velature che a volte lasciano aree non dipinte con un registro cromatico complesso che va dai neri profondi ai colori squillanti. La persona ritratta in Crow, ibrido tra umano e animale, potrebbe essere uno sciamano o un raver o ancora la parodia di un set fotografico di moda o forse un’allucinazione psichedelica, ma è soprattutto la proiezione del desiderio di essere “altro” che la natura, con la sua seduzione di sapore rousseauiano, di integrità e di utopica libertà, falsamente promette.
La figura umana è anche al centro dell’interesse di Luca De Angelis. Rifacendosi al pensiero di Merleau-Ponty, considera la dualità uomo-natura non in termini di contrapposizione ma di relazione, che si esprime nel superamento della dialettica tra esteriorità e interiorità poiché l’uomo, in quanto corpo, è natura esso stesso. Sono scene sospese nelle profondità del bosco, popolate da misteriosi individui – ma a volte anche deserte – come in Dietro il giardino e nelle altre opere, tutte intitolate Senza Titolo/Untitled che manifestano il legame tra natura e umanità, alludendo a una condizione primordiale originaria ormai perduta che non ci appartiene più. La forza della pennellata, la densità del colore, la pienezza della stesura che non lascia spazi liberi ma che è compressa all’interno della superficie del quadro, rendono la drammaticità e la potenza di questo legame indissolubile, facendosi monito a ripensare alla nostra precarietà umana a confronto dell’eccedenza della natura, resistente alla nostra dissennata opera di sfruttamento.
Anche Antonio Bardino restituisce una natura boschiva ammaliante, legata all’attimo fuggente della sensazione: una pittura che “si fa da sola”, in una perdita consapevole di controllo per arrendersi a uno sguardo va oltre il contingente. La natura è quindi lo specchio che riflette il senso del trascorrere del tempo, la caducità e la transitorietà delle cose rese attraverso stesure sovrapposte e ripensamenti che fermano la volatilità dell’esperienza della visione nella sfera del ricordo. Il bosco è vitalità in espansione che sembra voler fuoriuscire dai limiti della tela, drammaticamente indomabile e inconoscibile. Bardino parte sempre da un’immagine fotografica che elabora pittoricamente con uno stile minuziosamente realista che richiama la grande tradizione del paesaggio romantico – dal sapore böckliniano – per arrivare, in lavori recentissimi come Frammentato, a esiti più sintetici, concentrati sul particolare, dove il riferimento al dato reale passa in secondo piano per dar luogo a pittura di pura memoria e di sensazione.