Che cos’è l’editoria d’arte in Italia? “Si può dire che le riviste specializzate hanno sempre svolto un ruolo fondamentale, fin dall’inizio, negli sviluppi del sistema dell’arte contemporanea, sia come strumenti d’informazione critica dell’attività delle gallerie […] sia soprattutto come battaglieri organi di riflessione teorica e di promozione artistica […]”: parole di Francesco Poli che, con efficacia, sintetizzano il ruolo attivo delle riviste d’arte nel complesso sistema dell’arte.
Invece per l’edizione 2017 del Miart, inaugurata da poche ore, e il suo neo direttore Alessandro Rabottini, l’editoria sembra essere qualcosa di puramente accessorio, settore fortemente ristretto e relegato ad una misera parete di poco più di quindici metri, dove le 15 “selezionatissime” testate si stringono l’una all’altra, non per “affetto” ma per un’irragionevole mancanza di spazio. Che il mondo della critica, del giornalismo d’arte e dell’editoria specializzata sia “nazionalmente” e “internazionalmente” molto più ricco di 15 titoli lo sanno tutti, tanto è vero che le concorrenti fiere di Verona e Torino hanno dedicato a questo settore sempre più spazio negli anni, non ultima Bologna che, proprio all’industria e stampa d’arte, nella recente edizione di gennaio ha riservato ad esso addirittura l’intera hall di entrata, riconoscendogli un fondamentale ruolo culturale.
Le riviste scrivono la storia dell’arte con gli artisti, le gallerie, le fiere e le istituzioni pubbliche. Sono il passato, il presente e il futuro allo stesso tempo, ripercorrono criticamente i fenomeni dell’arte che hanno segnato le epoche, documentano l’attualità e scommettono sugli artisti di domani. Tutto questo è la rivista “Segno”, siamo noi che, da oltre 40 anni, ci occupiamo di arte insieme alle migliori penne della critica d’arte. A testimoniare questo impegno basti ricordare che sulle pagine di “Segno” si sono avvicendati i nomi Filiberto Menna, Marisa Vescovo, Gillo Dorfles, Achille Bonito Oliva, Paolo Balmas, Laura Cherubini, Marco Meneguzzo, Demetrio Paparoni, Gabriele Perretta, Giorgio Verzotti, e moltissimi altri, che continuano ancora oggi a dare il proprio contributo al mondo della critica attraverso “Segno”.
Forse il giovane direttore Alessandro Rabottini si è dimenticato quanto, storicità e attualità, vadano di pari passo per una rivista come la nostra, che può vantare una vita decennale, fisicamente presente quando, fra Arte Povera e Transavanguardia si faceva la storia dell’arte contemporanea in Italia. Forse si è dimenticato di questa dualità quando ha scelto di non includere “Segno” nella rosa dei rappresentanti dell’editoria, asserendo come motivazione la mancanza di spazio prima – eppure un metro in più, magari togliendo qualche comodo pouf, si poteva oggettivamente trovare! – e l’intenzione di dare un taglio più “britannico”, più “internazionale” poi, all’intero settore. Fa sorridere, a questo punto, leggere fra le testate la sola e stimatissima “Artforum International” fra quelle chiamate a rappresentare l’internazionalità del Miart, quando invece, tutte le altre, indipendentemente dalla loro distribuzione, sono chiaramente espressione del sistema italiano. Forse al neo direttore del Miart poco piaceva l’idea della presenza di una rivista con così tanta storia da raccontare, un po’ vetusta, un po’ sorpassata?, magari non gli sono piaciute le nostre ultime copertine dedicate a Pierpaolo Calzolari, Gianni Pettena, Giulio Paolini e Louise Bourgeois? tutti artisti che forse per Rabottini non hanno più niente da dire? Che lo spieghi ai galleristi e al mercato se trova il coraggio! Ma neanche questa scusa regge, tanto è vero che i colleghi di Flash Art, con due lustri in più di noi, in quel misero metro assegnatogli si sono incastrati bene, come tutte le altre riviste del resto, compresa “Artribune”, che di lustro ne ha uno solo ma le idee ben chiare sul senso della parola “storia” e che senza retorica, proprio a questo proposito, lo scorso anno ha dedicato a “Segno” e alla nostra quarantennale attività, una particolare attenzione intervistando la nostra direttrice Lucia Spadano, testimone di cosa è l’arte contemporanea dagli anni Sessanta ad oggi. Forse allora il Miart, stando a Milano, ha pensato bene che il gancio col futuro, che lo scrivere la storia dell’arte sia meglio farlo con il mondo della moda, invitando fra i 15 magazine d’arte “Vogue”, internazionale di sicuro e che leggiamo anche noi molto volentieri ma che di certo non si occupa di arte in modo specializzato.
Infine una nota sull’internazionalità. “Segno” è sempre stata inviata e continua ad esserlo, alle più importanti fiere d’arte, da Basilea a Madrid, volando fino a New York di cui, sul 262 appena uscito, c’è un ricco racconto di Armory, Volta e Art On Papar. Miart c’è da 22 anni, l’abbiamo vista nascere ed eravamo presenti quando costruiva la sua credibilità. Il futuro, qualunque esso sia, si crea in modo sano se si è capaci di leggere bene il passato. Perciò al giovane Alessandro Rabottini auguriamo di entrare nelle migliori pagine del giornalismo d’arte