Nell’ambito del Primo Festival della Follia di Teramo (11-14 settembre 2015), la mostra collettiva Qui solamente pochi, forse neppure i veri (a cura di Giuliana Benassi) all’interno della struttura dell’ex-manicomio è stata insieme indagine artistica sulla tematica della follia e riflessione sulla memoria storica del luogo. La storia dell’ex-manicomio di Teramo si intreccia con quella della ricerca psichiatrica e della storia sociale. Infatti, l’ospedale psichiatrico di Sant’Antonio Abate è considerato uno dei complessi più importanti d’Italia e d’Europa per il gran numero di degenti che fu in grado di ospitare e per l’avvicendamento di diverse figure dirigenziali impegnate nella ricerca, fino alla chiusura della struttura manicomiale in seguito alla legge Basaglia del 1978. Nel cortile laterale del complesso tutto è stato lasciato intatto, infatti i 1530 visitatori che hanno varcato la soglia dell’ex ospedale psichiatrico hanno prima dovuto firmare una liberatoria. Tra cumuli di macerie e i rovi del cortile, tra i mobili sconnessi e grovigli delle reti e dei materassi, gli artisti Vincenzo Core&Fabio Scacchioli, Paolo di Giosia, PierGiuseppe Di Tanno, Emiliano Maggi, Corrado Sassi e Fabrizio Sclocchini hanno lavorato a partire dallo spazio, immergendo i lavori tra le crepe ancora “sofferenti” di un luogo della memoria. Il titolo della mostra recupera l’epigrafe, ora smantellata, che era apposta all’ingresso del complesso ospedaliero: un velato monito sulla precarietà del concetto di follia e testimonianza di come esso abbia percorso arbitrariamente la storia. Un variegato dialogo tra le opere e lo spazio ha sintonizzato i visitatori con la storia passata per ritessere, rievocare e in un certo senso animare, con drammaticità e ironia, le derive della follia. Corrado Sassi con tele intessute e una video-installazione, sembra aver voluto misurare la distanza tra la vita e la morte intesa come desiderio dell’una e dell’atra; l’installazione di Emiliano Maggi ha recuperato gli oggetti più emblematici del luogo (i materassi) come giaciglio di sofferenza e possibile rinascita; il dittico Passaggi di Fabrizio Sclocchini immortalando uno scorcio dell’ex-manicomio di Teramo attualmente inaccessibile, ha esaltato la componente psicotica dell’architettura; nella performance di PierGiuseppe Di Tanno invece la meditazione ha regnato come pratica interiore e rilettura della follia come riscatto interiore. Un contributo alla memoria storica è stato dato invece dalle opere di Paolo di Giosia il quale dopo un lavoro documentario sul complesso dell’ex- manicomio, ne ha presentato una personale sintesi installativa; mentre la video installazione del duo Vincenzo Core&Fabio Scacchioli ha evocato con l’uso del linguaggio visivo e del suono il rapporto ossimorico e rapsodico delle contraddizioni della storia, la storia dei manicomi in Italia.