Sin dalla fine degli anni Sessanta, attraverso l’uso di molteplici linguaggi – dalla pittura, al video alla perfomance, o piuttosto azioni di guerriglia urbana con bombolette spry, stancil e manifesti da affiggere – Fernando De Filippi si è fatto portavoce dell’ideologia politica. Con i suoi interventi la città diventava il teatro allargato dell’azione; mezzi pubblicitari e propagandistici, come poster e striscioni, affissi in strada anche illegalmente, esprimevano l’autenticità del messaggio artistico. L’illegalità in se stessa era attributo dell’opera, che si sommava alla concettualità delle frasi contenute sui manifesti, tutte tratte dai testi di Marx ed Engels. I riferimenti colti della sua poetica riflettevano l’isolamento dall’organizzazione sociale e societaria. “L’arte è ideologia”, “Le contraddizioni sono ovunque”, “La mano non è soltanto l’organo del lavoro, è anche il suo prodotto”, “La stessa specie di lavoro può essere produttiva o improduttiva”, “Arte come pratica sociale”: erano gli slogan con cui De Filippi si infiltrava nel quotidiano, in luoghi non deputati, per riflettere sulla prassi artistica e sul sistema mediatico.
Ancora oggi, lo stretto rapporto tra arte ed ideologia rappresenta l’essenza della sua ricerca, come dimostrano i lavori Art and Ideology, pubblicato nel marzo 2015 sulla copertina de “La Lettura” del Corriere della Sera e la recente personale negli spazi della Fondazione Studio Carrieri Noesi di Martina Franca, a cura di Marina Pizzarelli.
Intitolata Le Geometrie del Fuoco, (corredata da un interessante catalogo con testo critico di Pizzarelli ed intervista in catalogo a firma di Marinilde Giannandrea), la mostra presenta una sezione di opere storiche ed un intervento site-specific: Arte e Ideologia, due parole che bruciano di fuoco, in ogni contesto, sia sulla terra che inglobate su qualunque altro supporto. Lo stato di metamorfosi – indotto dal fuoco, quale elemento alchemico sempre vivo e mai uguale a se stesso (Eraclito) – permette all’artista di annullare ogni meccanismo linguistico precostituito – riconducibile al segno-parola -, tramutando la materia in traccia effimera, seppure ineludibile; mutando il materiale in immateriale.
La scrittura è protagonista anche degli altri lavori esposti in mostra, come Trascrizioni (1975), Slogan (1975-1979), Tra esibizione e occultamento (1976), che oltre ad esser un monito politico, manifestano la tendenza antropologica nel suo lavoro, e in La Ziggurat e Il Tempio, opere pittoriche tratte dalla serie Miraggi degli anni Ottanta. In tali lavori la celebrazione ideologica del marxismo e del socialismo, si esplica e attraverso l’uso di stralci di testi di Marx ed Engels – come già accennato – e attraverso l’analisi della figura di Lenin. Con un approccio concettuale, De Filippi ricerca documenti dello statista russo, fino al punto di appropriarsi della sua grafia, di imparare il cirillico e trascriverne i testi, di appropriarsi del suo volto e di penetrare nella sua sfera più intima, incarnando il sogno socialista. Lungi dal presentare una mera operazione mimetica, ad esser oggetto d’elezione di De Filippi è ciò che è traslato, quel segno-scrittura – e con esso il messaggio che si esplicita e veicola – che potenzialmente si sovrappone e si cancella; che come il fuoco, sfugge ad ogni controllo.