«Migliaia di foglie, rami sottili tracciati con cura, infiniti segni concepiti con un microscopico pennello su grandi fogli dai contorni sfrangiati e profili mitici che appartengono a epoche artistiche infinitamente lontane e un’aurea atemporale».
È la natura alchemica di Fernando De Filippi, descritta da Lorenzo Madaro, curatore di Viti alchemiche, la più recente personale dell’artista pugliese nella Masseria Torremaizza di Savelletri di Fasano (Br), che si ispira al paesaggio della sua terra natia, restituendo un segno grafico colto e ricco di metafore.
Mito ed alchimia si fondono nella sua ricerca, diventando una sorta di ontologia artistica attraverso cui dare fondamento ai fenomeni percettivi individuali, attraverso un linguaggio condiviso e collettivo. Il tempo lineare della narrazione – del mito – si sottrae al limite della finitezza, per eternarsi; al contempo la sacralità del ricorso al mitico e all’alchemico, legato alla necessità di trovare al-di-fuori-di-sé una spiegazione “perfetta” di tutti i fenomeni che accompagnano l’esistenza, muta in armonia.
Fernando De Filippi costruisce luoghi onirici, in cui convivono amabilmente elementi naturali ed astrologici, personaggi fantastici, autori di danze leggiadre e ritualità magiche, in costante equilibrio – proprio come accadde, miracolosamente e per poco tempo, per La nascita della Tragedia greca, secondo la definizione nietzschiana – tra l’apollineo ed il dionisiaco, tra l’armonia delle forme e l’ebrezza e la sregolatezza della stessa.