Miraggi che divengono opere tangibili, visioni che prendono vita delineandosi in grandi interventi artistici contemporanei installati in luoghi impensabili. Sono le installazioni minimaliste realizzate da Alberto Timossi (Napoli, 1965 – vive e lavora a Roma; diplomato in scultura presso l’Accademia delle Belle Arti di Carrara) ed ubicate in siti naturalistici, in spazi metropolitani ed in interni. “Fata Morgana/La fonte sospesa” è l’ultimo lavoro scultoreo dell’artista collocato nella fontana della Minerva dell’Università La Sapienza di Roma, un’iniziativa a cura di Marcello Barbanera, direttore del Museo di Arte Classica, che sarà visibile fino al 16 giugno 2018. L’evento è parte del Maggio Museale, promosso da la Sapienza Università di Roma, durante il quale il campus universitario si trasforma in uno spazio aperto a persone di tutte le età: esposizioni temporanee, seminari e conferenze, laboratori ludo-didattici, concerti MuSa e visite guidate alle collezioni.
Per approfondire abbiamo intervistato l’artista Alberto Timossi:
Maila Buglioni:“Fata Morgana/La fonte sospesa” è il tuo ultimissimo intervento site specific ideato ed appena collocato all’interno della Fontana della Minerva dell’Università La Sapienza di Roma. Un’installazione che prende le mosse dal precedente lavoro “Fata Morgana/Dentro l’Antropocene” pensato e ubicato, nei mesi di luglio ed agosto 2017, nel laghetto del Rock Glacier del Col d’Olen, a 2.722 metri di altitudine, in Valle d’Aosta. Cosa lega i due progetti oltre il nome?
Alberto Timossi: A legare i due progetti è il tema dell’ambiente. La “Fata Morgana”è quel miraggio che ci permette di vedere cose non reali. Sul laghetto alpino il mio intervento era composto da 33 elementi di varie lunghezze, rossi, che galleggiavano e ondulavano al vento, a simulare un canneto artificiale che, in presenza di acqua alimentata da un ghiacciaio roccioso (lingua glaciale coperta da una frana), la natura avrebbe generato a monito contro il cambiamento climatico in atto. Qui sulla Fontana della Minerva, gli stessi elementi, ridotti a 14, sono invece sospesi a mezz’aria allineati a circa 3 metri di altezza lungo l’ideale linea di galleggiamento che avevano sul lago. Adesso l’attenzione è posta sull’acqua come bene assoluto che verrà a mancare in un prossimo futuro, se non si porrà rimedio agli sprechi, alla cattiva gestione e di nuovo al cambiamento climatico in corso.
M.B.: Molti tuoi lavori sono spesso installati in siti abbastanza frequentati o, come nel caso di Illusionea Carrara, sono opere di grandissime dimensioni tanto da essere visibili a distanza. Ma come nascono i tuoi lavori?
A.T.: All’origine c’è un grande interesse per lo spazio, ho sempre inteso la scultura come l’arte che, facendo leva sulla forma e sulla materia, modifica lo spazio che l’accoglie e ne introduce nuovi spunti di lettura. Non sempre, in realtà, i luoghi che scelgo sono facilmente accessibili: sia “Illusione”(Cave Michelangelo, Carrara), sia “Fata Morgana/Dentro l’Antropocene”(laghetto del Col d’Olen), insistevano su zone impervie che solo pochi potevano raggiungere, anche se una web cam riprendeva e rimandava immagini dell’installazione ogni 5 minuti. Questo però è dovuto al forte senso di appartenenza di un’opera al suo luogo. Solo a Carrara poteva sorgere “Illusione”e solo su un laghetto glaciale poteva sorgere “Fata Morgana”, altrove non avrebbero avuto senso. Le grandi dimensioni sono poi necessarie quando si lavora fuori scala, in contesti dominati da vaste distanze, nelle quali l’opera viene a contatto con l’anfiteatro di un’immensa cava di marmo o nella conca di un paesaggio di alta montagna.
M.B.: L’attenzione verso le grandi dimensioni, l’impiego di materiali industriali come il PVC, l’uso del colore rosso e l’immissione in ambienti prettamente esterni caratterizzano molti dei tuoi interventi rendendoli riconoscibili all’utente. Cosa ti ha convogliato, negli anni, a scegliere tali peculiarità come un determinato colore e/o materiale?
A.T.: La mia esperienza in scultura inizia con l’utilizzo dei materiali tradizionali, dalla terracotta al marmo, dal cemento al ferro. All’inizio degli anni 2000, la curiosità di entrare in dialogo con la scala architettonica e urbana, mi ha spinto a trattare un elemento e un materiale che fossero in perfetta coerenza con il contesto. Così ho iniziato a lavorare il tubo in PVC, quella presenza nascosta essenziale per la città (se la città fosse un corpo i tubi ne sarebbero il sistema venoso e nervoso) che a mio avviso valeva la pena mettere in evidenza. E’ nata così la serie degli “Innesti”prima, dei “Flussi”poi, fino ad arrivare agli interventi prettamente ambientali, come i già ricordati, o come “Spilli”, altra installazione galleggiante, capace anche di registrare e riprodurre i suoni grazie al coautore Simone Pappalardo, allestita sul lago urbano dell’Ex Snia di Roma (un lago del tutto particolare, generato per errore umano, che simboleggia la natura che recupera su un territorio che le sarebbe stato tolto). Inoltre, il colore ha la sua importanza, da qualche anno prediligo il rosso perché è il colore tipico del segnale, che pone in allarme, ma è anche il colore pieno, deciso e non ambiguo, l’unico che vince ogni contrasto e che sul verde della natura sprigiona il suo peso di complementare.
M.B.: Tornando a “Fata Morgana/La fonte sospesa”: l’installazione si confronta direttamente con la statua della Minerva (opera di Arturo Martini del 1935), protettrice dell’Università La Sapienza, dando luogo ad un raffronto tra cultura e natura, in particolare tra il sapere e l’elemento vitale dell’acqua e delle problematiche attuali che vertono attorno ad essa. Un accostamento che non ha né vincitori né vinti ma che vuole essere un invito a riflettere su urgenti tematiche e a prenderne coscienza…
A.T.: La statua di Martini rappresenta la dea della sapienza, dell’arte e della guerra. Nelle sue intenzioni, infatti, si doveva trattare di Atena, ma è sempre stata, da tutti, riconosciuta come la dea romana Minerva. Nel 1936 l’Italia invadeva l’Etiopia, e molti intravidero nella scultura di Martini una protettrice anche dei tanti studenti universitari che dovettero lasciare gli studi per abbracciare la guerra. Messo da parte questo tragico equivoco, a me piace considerare la Minerva come la sapienza che genera conoscenza e cultura, attraverso il simbolo dell’acqua che genera e alimenta la vita. Non a caso ho voluto installare proprio su questa fontana, nel cuore della città universitaria, la mia Fonte sospesa, perché lo studio e la ricerca possano dedicarsi alla risoluzione del grave problema che riguarda la salvaguardia delle sorgenti idriche, la lotta agli sprechi e la cattiva distribuzione. Non si tratta solo di azioni organizzative, ma di un ripensamento generale di come noi, che siamo ospiti, possiamo convivere con l’ambiente in modo rispettoso e costruttivo.
M.B.: Oltre alle installazioni per esterni, ubicati nella natura e nel paesaggio urbano, hai prodotto anche lavori collocati all’interno di gallerie e spazi museali. Tuttavia, cosa lega e/o differenzia questi interventi?
A.T.: Quando ho lavorato negli spazi interni, ho sempre cercato di costruire una relazione con gli ambienti. Spesso ho optato per attraversare pareti e mettere in connessione luoghi differenti, come per organizzare un percorso visivo che richiedesse, oltre allo sguardo, anche l’impiego del tempo per comprendere le opere esposte (come nella galleria Trebisonda di Perugia nel 2005, o al Centro Di Sarro di Roma nel 2015). Non sempre è stato possibile intervenire sull’architettura preesistente a causa di vincoli precisi imposti dalle soprintendenze (come nel 2013 presso la Collezione Manzù di Ardea o nel 2014 nel Palazzo dei Consoli di Gubbio), ma anche in quei casi il mio obiettivo principale è stato il tentativo di modificare i percorsi e offrire ai visitatori una differente percezione dello spazio.
M.B.: La tua poetica inizialmente era incentrata sul dialogo tra spazi esterni ed interni – vedi Innestipresentata alla Fondazione Pastificio Cerere nel 2006 – e anche a proporsi come elemento strutturale a sé immesso nella natura – vedi Il sogno verdeall’Orto Botanico di Napoli nel 2016 – mentre ultimamente i tuoi interventi artistici mirano a sensibilizzare lo spettatore verso tematiche di carattere ambientalista come la tutela e la salvaguardia del territorio e l’attenzione verso i cambiamenti climatici che investono sempre di più il nostro pianeta. Qual’è stato lo stimolo che ti ha indirizzato verso questa nuova ricerca?
A.T.: Come sempre accade, il lavoro di un artista procede per conseguenze che si susseguono ad altre riflessioni precedenti. Traslare il mio luogo di ricerca dalla città all’ambiente è stato un po’ come passare da un’arte figurativa (basata sul vero e sulle forme, in relazione ad esse) ad una astratta (in perpetua ricerca di equilibrio o di contrasto, comunque di dialogo con l’acqua, con il prato o la roccia e con il cielo). Questo percorso è avvenuto misurandomi, in più di un’occasione, con luoghi diversi (dalla Mole Vanvitelliana di Ancona nel 1996 alla Plaza Gallery di Tokyo nel 1997, ai Sassi di Matera e al Chiostro del Bramante nel 2000, all’Accademia Nazionale di San Luca nel 2002, e altri), in modo da poter acquisire quel distacco che rende capaci di capire quale sia il posto a sé più congeniale. Arrivare a lavorare sulla natura è per me un passaggio a questo punto obbligato: non si tratta soltanto di scultura all’aperto, ma di scultura in luoghi cruciali, dove valga la pena posare un pensiero, anche se costa arrampicarsi fino a 2700 metri. Fare arte in questo modo è catartico, è liberarsi da un concetto di arte che è mercato e assoggettato a logiche finanziarie, per vestirsi di un abito nel quale stare bene perché è cucito sulle proprie misure. La maggiore conquista è sentirsi a proprio agio in queste vesti.
M.B.: Progetti futuri?
A.T.: Progetti che riguardino sempre l’ambiente che cambia, vorrei indagarne diversi aspetti, alcune idee sono già chiare, altre devono ancora prendere una loro forma. Il più definito, che mi fa piacere anticipare, sarà in estate: porterò alcune decine di piccole sculture nere, leggere, foggiate nella forma dei sassi levigati dall’acqua e dal ghiaccio, nel posto in cui sorgeva il Lago Sofia, a 2600 metri sul Gran Sasso, fra le morene ai piedi del piccolo Calderone, il ghiacciaio più meridionale d’Europa ormai degradato a nevaio. Questo piccolo lago d’alta quota, di cui esistono anche recenti testimonianze fotografiche, si è prosciugato negli ultimi anni a causa del riscaldamento globale. Sarà una riflessione partecipata (un gruppo di persone salirà con me, ognuna con i suoi sassi nello zaino) intorno ad un’installazione che durerà un giorno, dalla mattina alla sera, nel rispetto completo della natura, dinnanzi al maestoso anfiteatro roccioso, contemplando l’ambiente che modifica se stesso e che è sempre pronto a stupirci.
“Fata Morgana/La fonte sospesa” di Alberto Timossi
a cura di Marcello Barbanera
fino al 16 giugno 2018
Fontana della Minerva – Università “La Sapienza” di Roma
piazzale Aldo Moro, 5 – 00185 – Roma
ingresso gratuito
Info: https://www.uniroma1.it/it/
Ufficio Stampa per Alberto Timossi
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