Esiste una specificità nell’arte femminile? C’è una modalità del vedere femminile (o maschile) che prescinde dal sesso o dal genere? Queste ed altre domande animano sin dagli anni Settanta le riflessioni della critica e della pratica artistica femminista. In quegli anni le donne denunciavano a gran voce gli abusi della società maschile e maschilista, rivendicando il loro posto nel mondo, supplendo all’oscurantismo durato secoli attraverso azioni, impegno politico ma anche sollevando interrogativi, proponendo studi di genere, mappature del passato, tale che si mostrasse l’ostilità incontrata, radicata in pregiudizi biologici irrigiditi, radicalizzati in verità esistenziali.
In cerca dell’identità specifica femminile, le critiche interrogavano il vuoto reale o presunto, giungendo a trattare la questione della disuguaglianza storica, che ben presto si trasformava nella necessità di enfatizzare la differenza e di rivendicare il “negativo della capacità”. Le studiose femministe colmarono il vuoto con mostre, pubblicazioni, pamphlet, le artiste con azioni e opere, che implicavano li corpo, che incorporavano la sfera emotiva, per rovesciare lo sguardo e cambiare il mondo, alterando il modello autoreferenziale patriarcale, introducendo la differenza, semplicemente portando se stesse.
Per allontanare il vuoto, per capire il presente e rileggere il passato, Veronica Montanino ed Anna Maria Panzera, in collaborazione con il MAAM di Giorgio de Finis, hanno avviato un progetto di ricerca, volto a rintracciare (l’eventuale) specificità femminile nell’arte. Una serie di incontri pubblici, in luoghi istituzionali, hanno visto confrontarsi storiche, critiche, artiste su “tematiche universali” dell’arte da declinare alla luce di una metodologia delle differenze. Così Carla Subrizi, Luisa Valeriani, Chiara Mu, Francesca Fini, Valentina Piccinni hanno preso parte ad un primo incontro sulla pelle dell’artista, quale spazio dell’arte, mentre nel secondo convegno Laura Iamurri, Michela Becchis, Maria Antonietta Trasforini, Silvia Giambrone, Silvia Stucky, Paola Romoli Venturi hanno relazionato sul rapporto tra arte, reazione e resistenza. Un terzo seminario ha visto l’Accademia di Belle Arti di Roma accogliere molteplici riflessioni intorno ad una tematica “spinosa” – afferma Veronica Montanino – quanto chiarificatrice di come alla progressiva smaterializzazione della forma in campo artistico, la donna abbia opposto la rifondazione del concetto di materialità a partire da un principio: il corpo, che è immediatamente immagine, cifra e materia di un immaginario nuovo. D’altra parte la materia tra apparire sensibile ed intelligenza manuale – titolo emblematico di questo incontro – permette di prendere in esame la disputa ancora in corso – sostiene Anna Maria Panzera – tra ideazione e materia, tra raziocinio e mano, che attraversa il mondo dell’arte, per arrivare a comprendere che l’intelligenza manuale non è una prerogativa di genere. Solo apparentemente si lega all’artigianato e alla manualità femminile domestica. In realtà, contiene un’istanza teorica dirompente, in grado di ribaltare le “gerarchie” creative e di rileggerne molti fenomeni.
Difatti le donne – spiega Silvia Bordini, nel suo contributo – hanno introdotto o quanto meno potenziato una materia diversa, spesso partendo anche dallo specifico del ruolo casalingo e da quel mondo di mezzo che è l’artigianato. Basti pensare, per esempio, alle artiste che adoperano ago e filo, mani e antica sapienza. O anche la materia organica, viva, come le piante, secondo quanto sostiene la stessa Bordini. Le mani sono anche l’oggetto dell’intervento di Claudia Salaris che analizza il tattilismo teorizzato da Benedetta Cappa e Marinetti, come metodo per migliorare il rapporto tra i sessi, come arte-vita che doveva produrre una più diffusa affettività tra gli esseri umani e le cose. A mostrare come l’esperienza della materia caratterizzi differentemente la ricerca femminile sono le artiste Chiara Lecca, Stefania Galegati, Susanne Kessler, Eva Gerd.
Proprio alle artiste è affidata l’immediatezza della differenza, del rovesciamento della visione unica e – presuntuosamente – universale, che la “questione femminile” permette di portare avanti, contestando il pensiero dominante patriarcale, annullando le vecchie opposizioni dicotomiche, in favore della coesistenza della molteplicità (che la metodologia della differenza porta con sé).