Vito Bucciarelli (1945) è tra i protagonisti della vita artistica italiana ed europea degli ultimi quarantacinque anni.
Dopo essersi formato nell’arte della scultura a Venezia con il maestro Alberto Viani, i suoi esordi militanti, nei primissimi anni ’70, sono caratterizzati dalla sperimentazione degli effetti artistici di contaminazioni multitecniche e poliespressive sviluppati nel confronto, ma anche nel superamento, con le tendenze allora di spicco dell’“arte povera” da un lato e del concettualismo dall’altro, come anche attraverso l’elaborazione delle ricerche performative nell’ambito delle azioni corporee sia di stampo “viennese”, sia sul versante “comportamentale” di Vito Acconci. Il fine è, sin da subito, quello di liberare l’opera dal suo reificante aderire alla datità dei suoi oggetti gravitazionali, per riconciliarla con la sorgività dell’evento in progress, nella misura in cui esso accade sempre per una volta sola. In tale prospettiva, la sperimentazione di tecniche legate alla fotografia consente all’artista di assumere e mantenere la giusta distanza rispetto a tutto ciò che è sensibilmente dato, per poter investigare gli abissi della materia – intesa nel suo intangibile sostrato immaginale – al di fuori dell’assillante imperativo di darvi a tutti i costi una forma statica e univocamente determinata.
L’approdo maturo di tale impegno sarà la messa a punto dello “strumento dello psiconauta”, una sorta di avatar (si direbbe oggi), ovvero di proiezione virtuale dell’artista stesso all’opera, già presente nelle azioni dei primi anni ’70 e protagonista dell’opera presentata dall’artista alla Biennale d’Arti Visive di Venezia del 1982, che accompagna buona parte delle successive realizzazioni artistiche di Bucciarelli, che si misurano, oltre che con la scultura, con gli orizzonti e le tecniche dell’installazione, della modellazione plastica in terracotta e ceramica, dei trattamenti fotografici e anche del disegno, come è documentato da questa Mostra.
Ciò che Vito Bucciarelli ha seguitato a praticare e perseguire, con assiduità ed estremo rigore, è l’esercizio, dal carattere sapienziale, di una “doppia visione” volta ad alleggerire, sino a svuotare, l’intollerabile peso degli oggetti – senza dissolverli, ma esibendoli in tutta la loro corposità fisico-sensibile – nel costante sforzo di assecondare gli echi e le ripercussioni del farsi evidente della loro intima vacuità, la quale impregna l’atmosfera e la contrassegna indelebilmente secondo le sue icastiche immagini in fuga.
L’esperienza dell’Arte Agravitazionale, che Bucciarelli – fonda scrivendo il primo Manifesto Agravitazionale il 13 Maggio 1989 a Urbino – coltiva dalla metà degli anni ’80, a partire dall’incontro con l’opera filosofico-letteraria di Ernst Jünger e in un serrato confronto con l’eredità dell’arte immateriale di Yves Klein, ben prima dell’avvento e del diffondersi globale della Rete e del Web, proietta e sospende ogni realizzazione artistica in un iper-spazio virtuale privo di centro, talvolta segnalato da un particolare tipo di luminescenza, senza punti di riferimento rigidi e coordinate fisse e nel quale gli oggetti scivolano via per un multiverso di orbite ellittiche, del tutto impossibilitati tanto a cadere (per via della forza di gravità) quanto a stare. In tale iperuranio del tutto privo di idee fisse e di realtà immutabili, lo stesso tempo linearmente progressivo e misurabile viene a essere decostruito e riportato alla sua verità, ovvero a puro ritmo. Il risultato artistico è che ogni opera, a prescindere dalle tecniche usate e dalle forme di volta in volta attraversate, appare quale momentaneo intervallarsi – come sorpreso da un improvviso flash – tra le ritmiche metamorfosi della distanza, nella quale si dischiude l’originalissimo universo isotropicamente agravitazionale di Vito Bucciarelli.
Va da sé che tali lavori non possono non sollecitare, nello spettatore sensibile, l’esperienza forte – una sorta di vera e propria “conversione”, che rammemora quella che Bucciarelli stesso ricavò emblematicamente, in gioventù, al cospetto del quadro di Caravaggio Conversione di Matteo e del Monumento equestre a Giovanni Acuto di Paolo Uccello nel Duomo di Firenze – di un “disarcionamento” della stessa ottica dello sguardo, il quale è spinto a guardare-attraverso e a tra-guardare l’osservabile, distanziandosi dalla sua datità retinica, pur senza mai perderlo di vista, da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Celebrando così, in una ironica festa, le occasioni per una possibile metamorfosi agravitazionale – liberatoria nel suo inevitabile spaesamento – dello stesso cosiddetto spettatore, che si fa co-produttore condizionato.
Sotterranei dell’Accademia di Belle Arti di Urbino
Inaugurazione: mercoledì 27 aprile 2016, ore 12.00
Durata della mostra: dal 27 aprile al 27 maggio
Apertura: dal lunedì, al venerdì dalle ore 10.00 alle 19.00
Data e Ora
27/04/2016 / 12:00 - 15:00
Luogo
Sotterranei dell'Accademia di Belle Arti di Urbino