Luigi Mainolfi torna a Firenze per una personale alla Galleria Santo Ficara. Dopo aver realizzato lo scorso aprile il grande sipario del Teatro Obihall, per il quale periodicamente viene chiamato a cimentarsi uno dei massimi artisti italiani, Luigi Mainolfi torna a Firenze con una personale da Santo Ficara, presentata da Fabio Cavallucci.
La forma della pittura e il colore della scultura è il titolo della mostra, che gioca sui due versanti del suo lavoro. Da una parte la scultura, a cui, dopo la prima stagione performativa, Mainolfi si è dedicato con determinazione dalla fine degli anni Settanta, quasi a voler contraddire l’allora diffuso “ritorno alla pittura” nel quale si raccoglieva la maggior parte dei suoi colleghi. Dall’altra, la pittura, appunto, che per lui consiste sopratutto nello studio della superficie, della pelle delle cose, ma nella quale non è mancata la ricerca sul colore.
Il quasi gioco di parole del titolo manifesta infatti come Mainolfi veda una relazione strettissima tra i due ambiti: la pittura non può darsi senza forma, senza confinare il colore in macchie che gli conferiscano un senso; allo stesso modo la scultura non può non avere un colore, non foss’altro quello della materia di cui è fatta, la cui superficie, nella visione “animistica” di Mainolfi, è un po’ una membrana che traspira ed emana energia. La superficie, la pelle della scultura, acquista colorazioni cangianti, si riempie di pori, di microfessure, si accende, nei lavori recenti in mostra, di colori più forti, che però riecheggiano i rossi vivi delle prime opere, a rivelare una continuità di pensiero e di metodo presente in tutta la sua ormai lunga carriera.
È la superficie del globo, è la pelle della nostra madre terra, che si manifesta nei tracciati geometrici che suddividono i campi, i boschi, i deserti, i prati. È come se Mainolfi si librasse sopra di essi e li cogliesse a volo d’uccello. Oppure, quando l’altezza del volo è ravvicinata, appaiono i particolari, come le foglie di tabacco, quando vengono distese ad essiccare. Ma se ben si osserva, quella terra è viva, c’è una materia magmatica che bolle sotto di essa: i vulcani che affiorano sono anche capezzoli, fonti da cui scaturisce un’energia che viene dal profondo. Ma c’è anche la possibilità opposta, di girarsi e guardare il cielo da sotto in sù, con leggerezza, come nel lavoro più recente, composto da 48 formelle, intitolato Tutte le volte che il firmamento mi cade addosso (2018), che completa quell’aspirazione dell’artista a manifestare, pur per frammenti, le varie forze che animano l’intero nostro universo.
Dal 24 novembre 2018 al 26 gennaio 2019 / Orario dal lunedì al sabato 10.30/12.30 – 16.00/19.00
Data e Ora
24/11/2018 / 10:00 - 12:00
Luogo
Galleria Santo Ficara