Ho immaginato di prendere un gruppo umano minimo e disporlo attorno ad un fuoco. Di osservarne gli individui intessere legami l’uno con l’altro, fino a creare quel tessuto di connessioni che stabilisce una realtà condivisa. Immaginiamoli, adesso, venerare questo portento, inscatolandolo in qualcosa che lo preservi. Così, quella regola chimica che muove i corpi e i mondi, è rinchiusa in questi sarcofagi di metallo che si contorcono nello spazio, imponendosi e soccombendo, mimando l’essenza del loro midollo.
Adesso che questa meccanica delle connessioni regola il loro quotidiano, è trascritta nel cemento, diventando la norma che detta il modo del loro convivere. Ora che quelle forze instabili sono codificate, che i modi di affrontare ambizioni e i fallimenti sono fissati, che perfino la memoria della tragedia ha perduto quella parte vitale che la rendeva così enorme, sono pronti a mettere in atto il loro apparato celebrativo.
Gli effetti di leggere male una storia di cui si sono perdute le dinamiche umane sono quelle di sempre. Le connessioni iniziano a spezzarsi e a condensarsi in punti sempre più forti; l’intero sistema creato collassa verso un’età delle conseguenze. Quei tubi si spezzano e si stendono nello spazio, il metallo si congela e risplende, i condotti sono aperti e le diversità di ogni forza sono accentrate in pochi punti. Il loro valore meccanico decade e sono trasformate in simbolo.
Il passaggio all’ultima fase è confuso e rapido, come spesso avviene in questi casi.
Il metallo smette di essere un rifugio, si dimenticano della funzione del fuoco: ora è solo una struttura, le cui bocche scaricano a terra il suo interno, che esalta un soggetto unico.
Qui la massa si agglomera e i gesti si uniscono sempre di più, fino a divinizzare un unico punto, a discapito degli altri.
A questo punto sono sempre più distanti dal loro inizio, e la tragedia, oramai del tutto codificata, sembra una strada confortevole. Hanno imparato a giocare con questi idoli, affinato la propaganda; ora riescono a obbligare la devozione verso un unico punto preciso. La massa si agglomera e i gesti si uniscono, tutto si perde. Fallito, ancora. Riproviamo.
Luca Monterastelli
Nato a Forlimpopoli nel 1983, ha studiato all’accademia di belle arti di Brera a Milano. Tra le mostre personali: How To Make a Hero, Deweer Gallery, Otegem. 2017; THEN/now, con Pietro Consagra, miart, 2016; The Close of the Silver Age, Lia Rumma project space, Fonderia Battaglia, Milano, 2015; White – Endlessly Rocking, Viafarini DOCVA, Milano; 2012: Open Studio Parc Saint Léger, Centre d’art contemporain Parc Saint Léger, Pougues-les-eaux (F), 2012; Graceland – Chez Néon – Diffuseur d’Art Contemporain, Lione, 2012. Nel 2015 ha partecipato alla 56. Biennale Arte di Venezia, padiglione Italia, Codice Italia, a cura di V. Trione. Tra le collettive: Ennesima, a cura di V. De Bellis, La Triennale, Milano, 2015; Senza Titolo, Michele Guido, Domenico Antonio Mancini, Luca Monterastelli, Lia Rumma, Napoli, 2013; Braccia#2, a cura di A. Biggio, Museo Marino marini, Firenze, 2013; L’uomo ridotto, Brown Project Space, Milano, 2010. Tra le residenze: HIAP, Kaapeli, Helsinki, 2014; Residénces secondaires, Centre d’art contemporain Parc Saint Léger, Pougues- les-eaux. 2012; Solid Void, Progetto Diogene Bivacco Urbano, Torino 2011; Residency Suddenly, Beauchery-Saint- Martin, 2011; Residency Triangle France, La Friche La Belle de Mai, Marsiglia, 2010.
Data e Ora
23/11/2017 / 18:30 - 21:30
Luogo
Lia Rumma