Complice e amica della semioscurità, Irene Gittarelli mette in scena – nella sua personale da Spacenomore “La Velocità del Buio”, curata da Francesca Canfora – il suo mondo onirico e surreale, con scatti di gusto cinematografico che rivelano scene enigmatiche, frame di racconti interrotti che galleggiano, come rebus irrisolti, in una ricorrente penombra.
Tre i progetti in mostra:
“There is a light that never goes out” si compone di vari istanti appartenenti a una normalità surreale, il cui leitmotiv è una luce tanto fioca e crepuscolare quanto tenace, perennemente presente, positivo lume di speranza che ne riscatta l’oscuro e malinconico senso di smarrimento e abbandono.
“I Contrariati” dimostra che, oltre il buio interiore, esiste una forma di oscurità altrettanto pericolosa: l’ignoranza, intesa come non conoscenza e non consapevolezza. Il progetto rappresenta in questo senso la ribellione e il riscatto delle giovani generazioni benestanti, di ceto medio-alto, generalmente disinteressate alla situazione politica. Giovani manager, signorine snob e bon ton insorgono qui contro un potere corrotto e logoro, che non si preoccupa di danneggiare le classi più basse al fine di garantire il mantenimento dei propri privilegi.
Se il 5 novembre 1605 la Congiura delle Polveri fu il tentativo compiuto da parte di un gruppo di 14 estremisti cattolici di buona famiglia di far saltare in aria il Parlamento Inglese ed uccidere il sovrano Giacomo I (reo ai loro occhi di non aver ripristinato i diritti della componente cattolica della popolazione), il claim che accompagna le immagini dei Contrariati, scritto dall’artista, riporta: “5 novembre 2014 ‒ La nuova Congiura: Il problema non sarà più la religione, ma i nostri diritti”.
“Fluidify“, infine, è il buio/oscurità contro cui armarsi, che può venire interpretato come oscurantismo, sinonimo della chiusura mentale che alimenta sin dalla nascita quei pregiudizi instillati da educazione, società e religione nel rapporto con il proprio corpo.
“Il 70% del corpo umano è composto da fluidi. La casuale combinazione dei vari elementi e delle quantità che permette all’organismo di funzionare perfettamente ha dello straordinario. Tutti i dettagli collegati alla vita, e che la generano, meritano attenzione e conoscenza. Alla luce di ciò sorge spontaneo un quesito. Perché i fluidi che il nostro corpo espelle per svariate ragioni, sia nel nostro intimo che a un occhio esterno, creano disagio?” Irene Gittarelli pone questo interrogativo in modo esplicito nel progetto Fluidify, indagine e ricerca estetica su atti ed aspetti della fisicità corporea che la società o l’educazione molte volte conducono a vivere in modo negativo. Contemplare la bellezza del corpo umano consiste infatti nel rispettarne la vitalità, ovvero la naturale e fisiologica perfezione nel suo complesso.
Il buio, prima paura consapevole dell’infanzia, incute timore, finché non si realizza che ad essere avvolta dalle tenebre è la stessa stanza di giorno illuminata dal sole. Laddove la temporanea negazione visiva destabilizza e disorienta, la naturale reazione che ne consegue è di acuire i sensi, per captare la minima fonte di luce e quei trascurabili dettagli che, in modo imprevisto, si rivelano di fondamentale importanza.
La midrìasi, capacità dell’occhio di adeguarsi alla notte per cercare nuovi punti di riferimento e coordinate, è metafora della vita, di quell’istinto di sopravvivenza che porta continuamente a ricalcolare il proprio percorso, non arrendendosi mai. Il buio, coltre protettiva che permette di osservare senza essere notati, può così diventare l’alleato migliore, se compreso ed esplorato. È un ossimoro attribuire una velocità al buio, scientificamente ubiquo e perciò immobile. La luce, episodica e intermittente, ne interrompe la continuità, anche se solo temporaneamente. Immaginare il buio come veloce equivale a interpretarne la simbolica negatività non solo come non definitiva e transitoria, ma come un qualcosa che passa in fretta e si risolve nel giro di breve. Adattare il proprio sguardo all’oscurità non significa affatto assuefazione e rassegnazione, quanto al contrario saperne ricavare una forza, la capacità di percepire il più lieve fremito luminoso come la più sottile scarica di energia positiva anche quando tutto sembra perduto.
Irene Gittarelli (1991). Laureata in Progettazione Artistica per l’Impresa all’Accademia Albertina di Torino, studia ora per il conseguimento del diploma di secondo livello, con indirizzo in Fotografia, all’Accademia di Brera a Milano. Fotografa da quasi 10 anni, muove i primi passi in questo ambito con l’appoggio dell’artista torinese Plinio Martelli, frequentando con continuità nel tempo il suo studio. Partecipa a diverse mostre a livello internazionale e negli ultimi due anni lavora anche in ambito video per Violex Video in qualità di direttrice della fotografia e scenografa. Sta sviluppando un progetto artistico in collaborazione con le OGR, dopo aver vinto le selezioni tramite bando di concorso, e segue la produzione di un videomanifesto per le Case del Quartiere di Torino. Vive e lavora tra Torino e Milano.
Data e Ora
04/02/2016 / 18:00 - 21:00
Luogo
Spacenomore