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ERRANZA. Del radicante e di altri segni | Elisa Bertaglia, Enrica Casentini

Dopo “Carte Sospese” di Denis Riva, dove lo spettatore si è trovato ad attraversare una giungla cartacea fatta di carte sospese, figure oniriche e macchie direzionate, punto di partenza per questa mostra è il saggio sull’arte contemporanea “Il radicante. Per un’estetica della globalizzazione” scritto dal critico d’arte francese Nicolas Bourriaud.

Giovedì 31 marzo 2016 inaugura Erranza, bipersonale di Elisa Bertaglia ed Enrica Casentini curata da Petra Cason Olivares negli spazi di Atipografia.

Nicolas Bourriaud, dopo essersi interrogato su quali siano le figure dominanti della cultura contemporanea, riscontra nell’errante (l’immigrato, l’esiliato o il turista) l’individuo figlio del proprio tempo e utilizza un linguaggio proveniente dal mondo vegetale, per descriverne le caratteristiche che lo rappresentano.
L’individuo errabondo assume le fattezze e le caratteristiche intrinseche di vegetali come l’edera, “i quali fanno crescere le radici a seconda della loro avanzata”, e trae nutrimento e appoggio dal suolo che, a seconda del suo incedere, è pronto ad accoglierlo.
Questa mostra diventa, per Elisa ed Enrica, il terreno su cui si incontrano due poetiche stilisticamente differenti, ma convergenti in un tema comune. Una doppia personale “site specific” e “time specific” che concede alle due artiste di confrontarsi autonomamente, dando ampio respiro alle ricerche personali, ma da un lato le piega l’una verso l’altra, non in un semplice accostamento di opere, quanto piuttosto alla ricerca di un approccio condiviso a proposito del tema che è stato argomento di scambio degli ultimi mesi.
L’artista radicante porta con sé, e diventano parte della sua identità, i frammenti raccolti lungo questo viaggio (geografico o ideale che sia), “a condizione di trapiantarli su altri suoli e di accettare la loro permanente metamorfosi”. In questo avanzamento costante e ininterrotto “i contatti con il suolo si riducono” e quello che prende piede è un “pensiero nomade”, e in questo continuo movimento l’artista si ritrova a farsi strada tra una distesa di segni, che elabora facendoli propri.
Entrambe “nomadi” per vocazione (Enrica avendo vissuto diversi anni a Londra, Elisa facendo avanti e indietro da New York), si sono ritrovate negli ultimi anni a confrontarsi con identità e altre culture e, in questi passaggi, portano con sé nuove consapevolezze, grandi interrogativi e conseguentemente tentativi di risposta.

KAIROS – ENRICA CASENTINI
Enrica Casentini ha dato vita al concetto di “essere radicante” realizzando “Kairos”, un’installazione composta da un piccolo esercito di semionauti, esili figure in ceramica che sembrano muoversi spinte dal vento, sulla superficie che attraversano in punta di radice (radici aeree delicatissime che sfiorano appena il terreno) e, nel loro incedere, sembrano compiere una migrazione, avanzando in piccoli gruppi,
ma formando una massa compatta. All’estremità, quella che potrebbe apparire una testa è un contenitore segnico, un recipiente che raccoglie e conserva i frammenti esperienziali, un padiglione auricolare teso all’ascolto, un’idea di isola. E’ il momento di stallo insito nell’avanzamento, la pausa nel ritmo della camminata, la sospensione a mezz’aria del passo non ancora avvenuto, ma lì a poco dal compiersi.

BINDWOOD – ELISA BERTAGLIA
Nel proprio incedere il semionauta, l’essere radicante, pone nuove ramificazioni e fa nascere nuove isole di conoscenza: osservandolo con sguardo distaccato ha l’aspetto di una rete, con sottili linee di congiunzione tra punti sparsi, senza un ordine apparente. L’opera “Bindwood” (termine arcaico dell’edera – ivy – e che ne definisce il suo “aggrapparsi, essere avvinta” al legno) di Elisa Bertaglia assume le fattezze di una costellazione vegetale. Punti luminosi fanno emergere, attraverso le trame fitte delle foglie incise, una costellazione nella costellazione.
Le piccole bambine – elemento caratterizzante della poetica di Elisa – emergono attraverso piccolissimi fori che bucano le superfici carnose delle foglie intrappolate in un contenitore di luce. La visione dal basso (all’interno dello spazio buio e raccolto che accoglie l’installazione) consente di percepire tanto le venature della vitalità linfatica dei vegetali, quanto i corpicini luminosi delle piccole protagoniste, sospese in un tempo in divenire che le proietta in una mappa segnica attraverso la quale ritrovare la direzione del proprio cammino.



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Data e Ora
31/03/2016 / 17:00 - 23:00

Luogo
Atipografia