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Bill Beckley, The Name of the Rose

«Sono e non sono un romantico. All’età di soli 13 anni ho dipinto per la prima volta una rosa e già allora intuivo che non poteva trasformarsi in una rosa del XIX secolo. Non poteva nemmeno essere la rosa di Gertrude Stein (Una rosa, è una rosa, è una rosa…). Negli anni ho poi trovato la mia rosa, fotografandone lo stelo nell’opera Roses Are (1974) e utilizzandola come uno degli elementi di Elements of Romance (1977). Questa composizione ricorda la sagoma di una scultura di Sol LeWitt che appartiene alla mia collezione. È stato un tentativo personale di combinare minimalismo e romanticismo, o forse si è trattato solo di un pretesto per fotografare una rosa.

Durante gli studi universitari alla Tyler School of Art, Temple University, ho seguito i corsi di uno dei più influenti professori dell’epoca, Italo Scanga, maestro di Bruce Nauman. In una delle conversazioni con Italo, che spesso avvenivano nella sauna del suo seminterrato, ho incontrato Bruce. Una volta, fu proprio lui a regalare ad Italo una targa curva con scritte le parole “Una rosa non ha denti”, e ad inchiodarla ad un albero.

Grazie ad Italo ho conosciuto anche Sol LeWitt, e Marcia Tucker, la futura curatrice del Whitney Museum of Art. Tutti mi hanno suggerito: “Leggi gli scritti di Wittgenstein”, il filosofo della lingua poi filosofo degli artisti concettuali negli anni Settanta. Marcia mi ha fatto anche avvicinare agli scritti di Roland Barthes, autore di Elementi di semiologia. (Elements of Semiology). La semiotica è lo studio dei segni, e di come gli stessi acquistano significato. Questo cammino letterario mi ha poi portato ad Umberto Eco, autore nel 1976 del Trattato di semiotica generale. Successivamente, con mia grande sorpresa, Eco ha composto il romanzo Il nome della rosa.

Faccio esplodere le rose e Ie enfatizzo attraverso il mezzo fotografico; esplodono nel vero senso della parola, di solito per mezzo di scintille artificiali. Ciò può definirsi divertente, bello e pericoloso: tutti elementi del sublime.

Nel 1978 ho allestito la prima mostra a Bologna presso lo Studio G7. Bologna è una delle città più belle nel mondo, è la casa dell’Università più antica d’Europa dove Umberto Eco ha insegnato, ed è una città famosa per la propria cucina. Quel mio primo viaggio a Bologna, allo stesso modo di questo oggi, sembra un vero colpo di fortuna».

Bill Beckley, 15 gennaio 2018, New York City

 

Bill Beckley è nato nel 1946 ad Hamburg, Pennsylvania. Ha ricevuto il Master of Fine Arts dalla Tyler School of Art, Temple University. Pioniere della Narrative Art, è stato uno dei primi artisti ad utilizzare la fotografia come mezzo artistico. Ha esposto in importanti musei e gallerie fra cui: Tony Shafrazi Gallery, New York; Ace Gallery, Los Angeles; John Gibson Gallery, New York; galleria Daniel Templon, Parigi; galleria Hans Mayer, Düsseldorf; Park Ryu Sook Gallery, Seoul; Nigel Greenwood Gallery, Londra; Museum of Modern Art e International Centre of Photography, New York. Le sue opere sono state acquisite nelle collezioni dei più prestigiosi musei d’arte contemporanea del mondo fra cui: Victoria and Albert Museum e Tate Modern, Londra; Guggenheim Museum e Whitney Museum of American Art, New York; National Gallery of Art, Washington D.C; Kunstmuseum, Basilea; Musée d’art moderne et contemporain, Ginevra; Musée d’art moderne, Saint-Étienne. Ha partecipato alla Biennale di Parigi, alla Biennale di Venezia, a Documenta ed alla Biennale di Whitney.

Studio G7 ha organizzato tre mostre di Bill Beckley: Mostra personale, 1978; Mostra personale, 1983; 18 per 18, 1989.



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Data e Ora
17/02/2018 / 18:00 - 21:00

Luogo
Galleria Studio G7