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Antonio Raucci | La silenziosa risposta

Le percezioni dell’arte contemporanea non hanno, nelle forme sintetiche, una codificazione definita dalle logiche economiche; l’arte è, fondamentalmente, un progetto individuale che non discende dalle logiche del sistema ma che, anzi, è un percorso soggettivo che pone l’artista di fronte alla propria esperienza ed alla necessità soggettiva di esprimerla.
Uno dei momenti chiave, nelle storie degli artisti che usano, in particolare, la tecnica installativa è quello della essenzialità della propria sintesi formale; se è vero, allora, che l’arte astratta traduce in forma un sentimento allora la ricerca che assembla oggetti della memoria va alla radice della sua stessa purezza. E, d’altra parte, il consumo iperveloce della vita fa si che le nuove generazioni riducano la percezione delle proprie radici e dell’appartenenza alla specie sapiens sapiens sostituita, ogni giorno di più, dalla forma che prevede la sostituzione dei paesaggi della natura con quelli elettronici. Forse proprio alla base di questa consapevolezza, di questa necessità di essere catalizzatore di un bisogno, tipicamente umano, di recuperare una identità ed una memoria senza nasconderle sotto un eccesso di immagine che Antonio Raucci affronta, in maniera organica, la sintesi oggettuale dell’opera; quella rarefazione della costruzione dell’oggetto che porta l’artista ad essere nudo nei confronti di se stesso. Sia nell’uso della connotazione antropologica, sia nella vecchie fotografie sbiadite, sia nelle cose di uso comune l’artista napoletano si relazione con la pratica del vivere quotidiano facendo chiarezza nell’orizzonte dei suoi eventi. E lo fa senza eccedere nella struttura formale dell’opera, anzi svuotandola di tutto ciò che è eccesso andando alla radice stessa del suo percorso; cercando di compiere quel viaggio nella sua mente, quasi zen, che lo porta a vedere la struttura stessa di base dell’assemblaggio oggettuale, attraversando la compresenza di cose a volte in contraddizione fra loro altre nella omologazione del progetto visuale. Ed allora la mostra è essenziale, sintetica, priva di quelle grandi tensioni ed eccessi emozionali che avevano caratterizzato il suo percorso umano di artista: il suo segno identificativo si muove libero, le parole scritte tempo fa si sovrappongono alle immagini antiche o, ancora alle sagome di forme assenti che lasciano lo spazio alla componente immaginifica perduta. Come monoliti della sua esistenza Raucci manifesta la propria necessità di tradurre in forma i suoi sentimenti attraverso delle forme in cui confluiscono i suoi pensieri, monumenti soggettivi di un amore perduto che lo pervade fin nel profondo del suo essere.
E, d’altra parte, non esiste identità senza memoria; essa è rappresentata da cose talmente sedimentate nel ricordo da far parte del nostro essere abitanti di un luogo senza neppure pensare a ciò che ci circonda. Eppure basta guardare; basta gettare lo sguardo sui semplici manufatti contadini per accedere alla memoria assiomatica del nostro essere, per identificare le cose recuperata da un passato neanche troppo lontano, con quello che noi siamo e con la terra cui apparteniamo.
E’ quella visione della bellezza naturale che ci rende ciò che siamo; è la nostra cultura millenaria che ha fatto della permeabilità il nostro stile, il nostro modo di essere, che ci ha conferito la straordinaria apertura culturale che ci rende adatti alla vita anche sul confine del terzo millennio. Una foto, una lettera ingiallita, dei pezzi di corda, oggetti di arredamento in disuso, ferri da stiro obsoleti, divengono più di ciò che sono; essi rappresentano una alterità che significa, che identifica che ci permette di ricordare. La cultura della nostra terra, in maggior parte contadina o, comunque, popolare, che rappresenta la nostra origine sopravvive, anche negli splendenti paesaggi del mondo elettronico, attraverso il simbolismo delle cose che, ancora, svelano il volto segreto della dea greca del ricordo, Mnemosyne. D’altra parte quello che la sensibilità di artista di Antonio Raucci coglie torna amplificato all’interno del mare della comunicazione contemporanea. Mai come ora l’arte di qualsiasi estrazione sia, riflette ciò che avviene nella vita reale senza, per questo, perdere la sua grande capacità affabulatoria. Essa è destinata, per sua stessa natura, a contenere archetipi e miti non potendo sfuggire alla maternità della memoria storica.
Una cosa è certa, in questa serie di lavori Antonio Raucci svela un volto nascosto: quello della necessità. Una necessità espressiva che, nella sua esemplificazione, esclude in maniera totale tutti gli elementi eccessivamente concettuali e formali che prevedono la trasformazione dell’opera da pura rappresentazione emozionale della realtà in quanto tale ad un’arte che prevede che la concettualità abbia una parte preponderante all’interno dell’opera. La passione per qualcosa è quella volontà che ti spinge ogni giorno, quando apri gli occhi, a rincorrere il sogno. E’ come cercare quotidianamente di spostare un poco più in là l’orizzonte dei tuoi eventi cercando di sgomberare quest’orizzonte dalle montagne dell’indifferenza altrui. È la visionarietà che accompagna la tua vita, prigioniera di un destino a cui, molti di noi, non riescono a sfuggire.
Questa passione per l’arte, o più in generale per la bellezza, appartiene al mondo inconoscibile, per usare un termine platonico, che, proprio per la sua natura di inconoscibilità si trova in quella parte dell’anima che non definisce un perché, definisce, piuttosto, una necessità. Per Raucci rimane l’obbligo di non tradire la sua libertà di artista; una libertà priva da inflessioni modaiole poiché se è vero che esiste un sistema, è altresì necessario esprimere le proprie idee nella forma e nei modi che ad ognuno di noi appartengono. Poiché l’arte visuale è, prima di ogni cosa, necessità dell’essere umano di attestare ciò che noi siamo, anche nel rendere omaggio a tutti coloro che, per l’atto di amore, hanno dedicato la vita all’esistenza pura e semplice, perché si possa ancora dire: “noi siamo la silenziosa risposta”.

Massimo Sgroi

Antonio Raucci, La silenziosa risposta

MAC3 (Museo D’Arte Contempranea) di Caserta (CE) Via Mazzini, 16 – Curatore Massimo Sgroi

La Mostra aperta al pubblico dal 21 Settembre 2017 al 12 Ottobre 2017 – Ingresso Libero.



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Data e Ora
21/09/2017 / 18:30 - 21:30

Luogo
MAC3 (Museo D’Arte Contempranea)