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Essere Fausto Delle Chiaie. L’artista romano in mostra a Palazzo Merulana

Nel documentario La bellezza incomprensibile, andato in onda su Rai3 nel 2014, Domenico Iannacone rifletteva: “Quando qualcuno per 25 anni sceglie un luogo e lo cura come fosse una casa, quel luogo col passare del tempo si anima, e prende la forma di chi lo ha abitato”. Il luogo cui si riferiva è il Museo all’Aperto, il qualcuno è Fausto Delle Chiaie. Dall’8 al 24 giugno il Museo è ospitato nel Giardino delle Sculture di Palazzo Merulana, a Roma. La mostra si intitola All’ombra del bambù.

L’artista presenta 14 lavori, alcuni inediti, altri già noti alla sua affezionata cerchia di estimatori, sostenitori, seguaci.  In occasione dell’inaugurazione è stato presentato anche il libro-opera, Fuori catalogo,pubblicato da Kellermann. Nel libro, raccolta di pensieri ordinati in forma quasi diaristica e ricchissimo di foto, Fausto parla in prima persona e chiarisce il suo processo creativo, svelando preziosi dettagli su quello che potremmo chiamare “il metodo delle Chiaie”. 

Nato a Roma nel 1944, l’artista fa parte della generazione che ha preso in pieno la Pop Art, l’Informale e l’Arte Povera.  Studia all’Accademia di Belle Arti e negli anni Settanta comincia a lavorare ispirandosi a Matisse, Picasso, Giacometti, Duchamp. Nel 1986 firma il “Manifesto Infrazionista”, dove infra-azione è collocazione dell’opera nel luogo e veloce allontanamento dell’autore. Delle Chiaie ha esposto in Italia e all’estero, ma è nella sua città che ha creato un Museo permanente all’Aperto, occupando artisticamente il Pincio, la Galleria Sciarra, Piazza Borghese e Ponte Sant’Angelo, e dalla fine degli anni Ottanta l’area tra l’Ara Pacis e piazza Augusto Imperatore. 

Una casa Fausto ce l’ha, nella piccola Sgurgola, a una settantina di chilometri da Roma. Ogni giorno prende il treno, arriva in città, recupera il carrellino che custodisce i suoi “pensieri in forma”, raggiunge il “suo” pezzo di strada, e su un muretto, o in terra, allestisce il museo.  Prima allinea i cartellini delle opere, in ordine rigoroso, perfettamente equidistanti tra di loro, e solo dopo dispone i lavori. Non è un’installazione, ma un percorso artistico che ha un principio e una fine. Nulla è casuale, tutto è frutto di riflessione e acquista un senso nel luogo in cui si trova. La strada è fondamentale: nel libro Fausto spiega bene il concetto di “opera assorbente” cioè “capace di contenere visivamente anche ciò che la circonda”.

I lavori sono libere associazioni tra uno o più oggetti e un cartellino/commento “aperto”.  È l’enigmistica dei nostri tempi, sono riflessioni su come siamo, ironiche metafore del quotidiano. Ho fatto una barca di soldiè una barchetta di alluminio o di plastica con dentro delle monetine. Altro classico sono le frecce tracciate col gessetto bianco sull’asfalto: le segui e arrivi nel bel mezzo della strada trafficata, e lì c’è un mucchietto di monete: è Investimento sicuro. Poi c’è Il doppione, collaudataopera-performance ripetuta dal 1993: una foto dell’artista posata sul muretto, col commento “l’artista è dietro”.  Ti giri, e c’è lui nella stessa posa, come in uno specchio. Fausto non descrive né conclude, piuttosto indica.

 “Io faccio parte del luogo, lo presiedo, lo allestisco; il luogo è il museo; il museo non è mio; io sono l’opera, il custode, il curatore, l’allestitore, il cassiere”, dice. L’artista coincide col museo, che appartiene a tutti.  Tutto è opera, anche i passanti che si fermano incuriositi. 

Fausto non vende, scambia con un‘offerta libera. Ma è la condivisione coi visitatori/passanti il suo vero tesoro, poiché i messaggi prendono vita non appena qualcuno li coglie. Fausto non spiega niente, dà solo l’opportunità di capire, è come un maestro zen, batte un colpo e poi aspetta. 

Chi intercetta i suoi messaggi lo interroga come fosse un oracolo di strada che legge nelle viscere dell’assurdo quotidiano, ma la risposta è una domanda e il ciclo non finisce mai. Il meccanismo somiglia al dialogo socratico; ma qui il filosofo facilitatore risponde con l’oggetto, il lavoro maieutico di Fausto è mediato da materiali di scarto, piccoli giocattoli, disegni. 

Roma è il suo ambiente naturale, perché questa città è come lui, un luogo in cui vita e arte sono proprio la stessa cosa, in cui l’espressione artistica scorre senza ostacoli, si confonde col bello e col brutto e prima o poi trova una sua collocazione. Fausto è il tipo di persona che riesce a governare il fiume del suo essere più profondo lasciando che si depositi nell’atto artistico; il sé che preme alle porte della sua coscienza prende la strada dell’ironia, si accomoda nell’alveo del paradossale. È la via della salute fisica e mentale, per questo Fausto incuriosisce tanto, tutti vorremmo sapere come si fa.

Qualche anno fa ero su un autobus affollato, a Corso Vittorio. Dal finestrino l’ho visto, camminava a passo svelto sul marciapiede trascinando il suo carrellino. Era inverno, al tramonto, forse aveva finito la sua giornata di lavoro, ma non andava verso la stazione, era diretto al Lungotevere, come sospinto da un’urgenza, determinato ad arrivare. Avrei voluto farmi largo tra la gente e scendere al volo, fermarlo e parlargli, ma non lo feci. Cosa avrei potuto dirgli. Fausto conosce la via del saggio, va lasciato andare.

All’Ombra del Bambù. Mostra di fausto delle Chiane.

Palazzo Merulana

Via Merulana, 121, 00185 Roma RM

Fino al 24 giugno 2019

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