Per quarant’anni Enzo Tempesta ha lavorato con successo a Bari come grafico. Per la sua second life ha deciso invece di uscire allo scoperto come artista. Non si tratta di una passione nuova, visto che la sua formazione è avvenuta negli anni Settanta all’ Accademia di Belle Arti del capoluogo barese. Ai tempi aveva già esordito un ambito artistico anche a livello nazionale: una sua opera era stata selezionata nel ’75 per la X Quadriennale a Roma.
Pur avendo scelto poi di dedicarsi a tempo pieno all’attività di graphic designer Tempesta non ha mai smesso di produrre lavori e fare ricerca. Così la personale curata da Lia De Venere alla galleria Museo Nuova Era di Bari segna un ritorno che può essere considerato anche un nuovo inizio. Idealmente il percorso si potrebbe far partire dalla gigantografia al piano inferiore. Raffigura un scorcio domestico d’antan, una sedia in legno, un comodino, una vecchia cornice ovale sulla parete in alto che racchiude uno sbiadito ritratto femminile da album di famiglia. Si tratta del remake fotografico di “Ambiente”, l’installazione oggettuale esposta da giovane nella rassegna romana, dove la matrice concettuale ((versione calda e narrativa delle tautologie di Kosuth) si combinava già ad un’elegia della memoria. E’ proprio questa la cifra peculiare dell’autore, che attinge appunto a “Memorie private”, come suggerisce il titolo di questa mostra che documenta diverse fasi creative ancora inedite. Passaggi generazionali si fondono ad esempio nel video in cui il volto del padre si sovrappone in lente dissolvenze incrociate con il suo e poi con quello del figlio, evidenziandone le somiglianze. Così come nei delicati dipinti a soggetto familiare, nei reperti, cartoline, buste o manoscritti, nelle foto d’epoca e in piccoli oggetti composti in assemblaggi materici al piano superiore. Talvolta quali piccoli scrigni che incapsulano enigmatici frammenti, offrendoli a nuova significazione. Sono tracce di un vissuto che si dà come “continuum”, malinconica ma lucida esperienza esistenziale a partire da cassetti di ricordi, veri o mentali. Sintesi, come annota la curatrice, di una “riflessione sullo scorrere del tempo, su ciò che dal passato permane nel presente e aspira a transitare nel futuro”.