Pare una contraddizione in termini dedicare una mostra a un artista che per tutto l’arco della sua carriera è stato dedito al culto dell’invisibilità – intesa tanto come demistificazione dell’autore quanto come sparizione fisica dell’oggetto – e che ha sempre rifiutato qualsiasi ipotesi interpretativa del proprio lavoro. Uno che dichiarava: <<Non ho programmi, vado a tentoni, non vedo traccia di nascita dell’Arte (né della tragedia) perché la C. S. non è il frutto del puro lavoro umano (perché non ho fatto io la sedia il tavolo il foglio la penna con la quale scrivo) non creo, se è possibile.>>
Eppure, nonostante premesse così poco edificanti, quella che Osart Gallery di Milano propone, coerentemente con il lavoro storiografico della galleria, è un’interessante veduta sul lavoro di Prini che, prendendo in considerazione il periodo specifico tra il 1967 e il 1996, cerca di rimanere il più fedele possibile all’ ‘esistere rivoluzionario’ di cui dice il critico Germano Celant nel suo celebre scritto “Arte povera. Appunti per una guerriglia” (23/11/1967).
Definito da Luigi Ontani come “l’artista che vive l’arte povera in maniera integrale”, Emilio Prini (1943 – 2016) è stato sicuramente uno tra i più enigmatici esponenti di questo movimento fin da quando nel 1967 vi ha aderito partecipando alla mostra “Arte Povera – Im Spazio” organizzata dallo stesso Celant alla galleria La Bertesca di Genova.
La sua riflessione concettuale ha insistito sui temi dell’autonomia dell’arte rispetto a qualsiasi interesse altro, dell’autenticità assoluta di ogni opera, ha ambito a dare peso al vuoto più che al pieno, a indagare il concetto di spazio e la categoria di ‘non standard’ in antitesi a quella di ‘standard’ e sulla contrapposizione teoretica visibile – invisibile ha fondato grande parte della sua ricerca.
Il luogo di questa esposizione, costituito di due ambienti separati, già a partire dall’allestimento sollecita una riflessione sui fondamentali di questo artista, militante di un’arte che fin dagli esordi ha inteso promuovere un modo drasticamente nuovo di pensare e di agire. E che facendosi forte di una libertà di linguaggio, di forma e di tecnica, che presupponeva il rifiuto di qualunque sistema codificato, e utilizzando mezzi minimi – come piombo, legno o tubi al neon – ambiva a realizzare quella piena identificazione tra l’uomo e il mondo, l’arte e la vita.
Nella stanza principale sono presentate opere di grandi dimensioni, volutamente poggiate a terra, disposte in maniera ordinata e collocate alla stessa distanza l’una dall’altra. Vi troviamo due lavori realizzati in occasione della mostra “X Edizioni” del 1986 presso la Galleria Franco Toselli, dal titolo “Governo (non standard)”. Si tratta di pannelli in legno MDF con due tagli che si uniscono in basso e l’applicazione di un foglio di plastica trasparente dal taglio corrispondente. E altri due che provengono dalla mostra “Fogli da un taccuino di legno” del 1997, che furono esposti presso la Galleria Pio Monti. Su pannelli di compensato Prini amplifica alcuni disegni tratti da una delle sue agendine, intervenendo con metodi diversi: matita, gesso bianco, vernice.
Nell’altra stanza invece, disposti sul pavimento alla rinfusa, altri lavori di dimensioni più ridotte: opere su carta residuo solido del processo di dematerializzazione dell’oggetto-opera che gli conferisce quel carattere effimero, di contingenza radicale, da sempre emblema della poetica priniana. Vi troviamo ad esempio il manifesto della mostra “Fermi in dogana”, la più importante retrospettiva tenutasi nel novembre del 1995 presso l’Ancienne Douanne di Strasburgo; l’opera “Senza titolo da 6 passi da un metro, 1967 – 2010” che documenta come il movimento del corpo, colto nell’atto di compiere un passo, diventi motivo per una riflessione concettuale sul gesto del camminare, un tentativo di cristallizzarlo, di congelare le forze del movimento, ascrivibile alla sua continua tendenza a teorizzare; o quella intitolata “Punto – ipotesi sullo spazio totale – (prototipo)” come parte di un’analisi complessa che tiene conto del concetto di spazio e della polarità pieno – vuoto che esso catalizza.
Profondo, ironico, concettuale, autentico, lucido, spietatamente intelligente. Di tutti gli aggettivi che gli si potrebbero tributare quello che Prini avrebbe preferito sarebbe stato di certo il misterioso silenzio, il vuoto della pagina, insofferente com’era a definizioni e decodificazioni.
<<Parlare delle opere di Prini o dell’arte di Prini è abbastanza inutile se non si parla anche di Prini come personaggio>> conclude Andrea Sirio Ortolani, proprietario di Osart Gallery.
<<Nel senso che è stato talmente coerente nel suo modo di vivere che questa stessa coerenza l’ha portata anche nella sua indagine artistica: non c’è nulla di certo, nulla di stabile, di realmente codificato, perché lui era così. Non ci sono nemmeno libri o pubblicazioni in merito al suo lavoro perché in teoria il suo lavoro consisteva nell’annullamento del lavoro stesso. La gran parte delle opere esistenti di Prini in realtà lui avrebbe voluto fossero distrutte e che rimanesse solo la fotografia come testimonianza. Abbiamo provato, insieme a Emilio Corti che è stato suo assistente e tenendo sempre a mente quella che poteva essere la volontà dell’artista, a creare un percorso storiografico concependo una mostra che fosse in sintonia con il lavoro della nostra galleria. Questa scelta può piacere o non piacere, forse ai puristi piacerà poco, ma ha un suo senso. E’ chiaro che se volessimo rimanere totalmente fedeli a Prini in realtà nemmeno avremmo dovuto farla una mostra. È sicuramente molto complicata, una mostra provocatoria, come dire: andiamo oltre!>>
EMILIO PRINI
Osart Gallery, Milano Corso Plebisciti 12
Dal 28 Marzo 2019 al 25 Maggio 2019
Da martedì a sabato, 10 – 13/ 14.30 – 19 (entrata libera)
Fonti:
- “Arte povera. Appunti per una guerriglia” di Germano Celant (23-11-1967)
- “Il peso del vuoto. Emilio Prini ieri e oggi” di Pasquale Fameli
- “Emilio Prini. Fermi in dogana” Catalogo della mostra tenutasi presso Les Musées De La Ville De Strasbourg nel novembre 1995. Prefazione di Friedemann Malsch