Non gli riusciva più di ridere come sempre aveva fatto, fin dai primi anni Settanta con Lisa, Domus e le copertine, con la sua vicinanza all’arte, alla Milano vera e seria (“ma non esageriamo” pareva dicesse col suo timido sorriso). Una Milano da poco orfana di Fontana e Manzoni, ma ancora ricca di Buzzati e Montanelli, che allora era il nemico, di Natta e i polimeri, di Gabriele Basilico e Luciano Fabro che prendevano la rincorsa, di Fontana Arte e Azucena, di Beatrice Monti e Arturo, di Gio (senza accento per favore) e di Caccia, di Mari, Munari, i due Colombo, Gorni Kramer e Jannacci, Nereo Rocco e il catenaccio, il Derby e Gaber, Dario e la palazzina, mentre Armani e Fiorucci su sponde opposte cucivano e fatturavano capi che avrebbero dettato le linee della moda. Una città da Alemagna a Motta, per dirla tutta.
Mendini Alessandro (presente!) se la rideva e aveva ragione: era nato e cresciuto in una città straordinaria (anche oggi) di cui ci siamo italianamente sovente a torto lamentati.
E poi c’era il mitico design milanese con Zanotta e Cini, con Gae e Cassina, con Artemide e Kartell, per non parlare di Aldo Rossi, Castiglioni, Albini, Magistretti, Busnelli e i figli di Amedeo… ma quanti erano questi figli? Impossibile anche solo pensarlo, quando sfavillava il Salone con De Pas & c., Pesce, Pio, Gavina che rompeva gli schemi: che grandissima bravura! Che storia con BPR ancora in pista e Citterio con le braghe corte.
C’è stato un momento di densità spaventosa, un buco nero che tutto produceva risucchiandolo in una attrazione fatale, illustrata da Mulas, Ballo, Dondero, Alfa Castaldi, Paolo Monti…
Sono in volo da 11 ore, ma la notizia dalla Galleria mi arriva subito. Sotto c’è l’Africa. Tra poco atterro.
Andrò subito a Milano, dove non ci sono più i tre guastatori col sorriso: scettico per Ettore, ironico per Fornasetti, timido per Alessandro che sfarfallava coloratissimi coriandoli trasformando una ovvietà canturina in un trono per Proust.
Era il suo riverente modo per dire al serissimo design che stava arrivando un vento diverso, da Memphis alle giacche di Gregorini, nato come me a Pisogne, lago d’Iseo…
Questi guastatori della forma stavano già ponendo le basi per far scendere di sella i Serissimi -Architetti- del Sessantotto che avevano appena finito di smontare il giocattolo “okkupando” la Triennale nel mitico Maggio (in francese Mai, pronunciato mé…) con Gianni Emilio che, finalmente, aveva voce in capitolo.
Ma a che capitolo eravamo rimasti?
Nessun definitivo. Arrivo a Frankfurt, ronzano gli sms. Commiato anche per Carla Pellegrini. A.N.C.H.E.C.A.R.L.A.P.E.L.L.E.G.R.I.N.I… Ma no, no. E invece…
Pensare che ero, per caso e curiosità, in via della Spiga nel ‘66 quando aprì galleria con quei cataloghi larghi, lunghi e sottili che allora mi catturavano e che conservo rilegati.
Con me Mendini è sempre stato di una straordinaria immeritata generosità. Devo a lui una delle mie più belle mostre con Peter Halley. Da una sua idea. Dipinge tutta la grande stanza con i suoi modi e discute con Peter l’inserimento di sei grandi opere. Da vedere. Semplicemente straordinaria.
“Sono sempre gli altri che muoiono”. Grande, ovvia, intuizione di Marcel. Altrimenti non sarei qui a raccontarvela.
Compiaciuta? Si ma so che a lui sarebbe piaciuta. Anzi so per certo che gli piace e riesce ancora a sorridere.
La sua mission, direbbero oggi, è compiuta e oggi Milano è una smart city in bluetooth very high-tech, più spolvero, meno birignao.
Non è più da bere, mangiare comunque si. Ogni tanto un piccolo morso…
Non era un Archistar, stava rintanato là sotto poco prima del Corvetto che pareva quasi di trovarci l’ultimo Gaber. E il coloratissimo sfarfallio di mosaici sulla via chiedeva rispetto al ritardato graffitaro incazzato di notte e bello di giorno, dava conforto visivo al pensionato con la Gazzetta, segnalava la presenza agli amici, parenti, clienti, che oggi spero felicemente ricordino l’Alessandro che ha davvero avuto uno straordinario passaggio in una grande città europea.
Milano con lui è cresciuta ma lui non riusciva forse più a sorridere come una volta da quando la poesia era fuggita, gli affari erano tornati, con le conseguenze del caso. Ormai il Pil, i tassi, i bond la facevano da padroni, senza dimenticarci lo spread che, pilotato dalla BCE, terrorizzava tutti quanti.
Forse non se l’aspettava e così è andato via.
Massimo Minini