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È la fine della fiera?

Questo articolo è stato pubblicato su Artspace Magazine l’11 settembre 2018. Artspace è il principale mercato online per l’arte contemporanea. La loro missione è quella di portare più arte nella vita delle persone mentre aiuta gli artisti e le istituzioni che li supportano a raggiungere un pubblico più ampio. Collaborano con centinaia di prestigiose gallerie e organizzazioni non profit di tutto il mondo per offrire ai collezionisti e agli aspiranti collezionisti l’opportunità di scoprire, conoscere e acquistare opere d’arte, curate da tutto il mondo.

Perché la nuova politica delle tariffe differenziate di Basilea non può salvare un modello al collasso

Art Basel ha recentemente annunciato che la fiera del 2019 adotterà un sistema di tariffe differenziate sull’affitto degli stand. Le grandi gallerie pagheranno per metro quadro un prezzo più alto rispetto alle gallerie emergenti o di medio livello; ciò è in contrasto col modello corrente, che prevede che tutte le gallerie, grandi o piccole che siano, paghino la stessa tariffa.

Robert Therrien, tavolo pieghevole e sedie, senza titolo. Immagine New York Times.

Anche Frieze Art Fair inaugurerà un tariffario diversificato per il prossimo appuntamento di Los Angeles; e  la Gallery Weekend di Berlino ha dichiarato di voler modificare il sistema dei prezzi fissi.

Nei fatti la maggioranza delle fiere d’arte già utilizza un sistema di tariffe differenziate, il che permette alle gallerie piccole di affrontare una spesa relativamente contenuta: le grandi si assicurano stand più costosi e centrali,  le piccole accettano stand piccoli e più decentrati. Ma anche questa modalità si sta rivelando insostenibile per le gallerie emergenti o di medio livello. Le fiere sono costose. Oltre all’affitto dello stand, i costi assicurativi, di deposito e di trasporto possono far lievitare le cifre fino alle centinaia di migliaia di dollari, per non parlare delle spese per l’alloggio degli artisti e delle cene costose con cui si devono corteggiare i collezionisti, cioè i potenziali compratori. Le uscite non variano con le dimensioni della galleria: “I costi di trasporto per un’opera del valore di 10.000 dollari sono gli stessi per un’opera da un milione di dollari”, dice Don Thompson, autore di  The Orange Balloon Dog: Bubbles, Turmoil, and Avarice in the Contemporary Art Market. Galleristi come David Zwirner possono compensare queste spese con la vendita delle opere di artisti affermati, che incrementano il loro fatturato; ma le piccole gallerie, che presentano opere di artisti emergenti, di solito chiudono in perdita. Come Bridget Donahue ha fatto notare in una recente tavola rotonda del Magazine T sul mercato dell’arte: “Anche se vendo tutto lo stand, i prezzi di vendita non portano ricavi, al netto delle spese. Se ho successo, questo non è mai paragonabile a quello di coloro che hanno veramente successo”.

Opere della Galeria Fortes Vilaça di San Paolo, Brasile. Immagine New York Times

I problemi  finanziari indotti dalle fiere sono noti alle gallerie di medio livello. Quando una galleria come Paula Cooper aprì i battenti nel 1968, Chelsea non era ancora Chelsea, e gli affitti erano abbordabili. Ora è uno dei quartieri più costosi di New York e gli uffici di classe A costano una media di 90 dollari per metro quadro. Le gallerie medie sono sempre più in difficoltà nell’ammortizzare la spesa di affitti sempre più alti con la vendita di opere di artisti al top, cui invece le grandi gallerie danno la caccia non appena cominciano a generare profitti significativi; le medie, in genere, si prendono il rischio di sostenere gli artisti emergenti senza che ci sia un ritorno economico.  C’è anche da considerare  la tendenza  da parte dei collezionisti a non comprare durante l’ordinaria programmazione delle gallerie e ad aspettare le fiere, che offrono condizioni di acquisto ottimali. Questo significa che il fatturato delle gallerie si genera in pochi weekend distribuiti nel corso dell’anno, piuttosto che come flusso mensile costante.

Il restringersi del mercato alle fiere ha anche inciso sulla qualità della programmazione delle gallerie. José Freire, proprietario della Team Gallery, lo fece notare in un’intervista con Artnet: “Per un certo periodo  sembrava che organizzassimo mostre solo per documentarle e poi inviarle alle commissioni di selezione delle fiere. Il programma delle nostre mostre stava diventando via via sempre meno importante”. Questo colpo alla programmazione espositiva di fascia media fa male anche alle fiere e alle gallerie blue-chip, che contano su contesti come Bridget Donahue e Team per far nascere artisti di medio e alto livello, il cui lavoro possono mettere successivamente sul mercato. In fin dei conti, è per il proprio interesse che grandi gallerie come David Zwirner e Hauser & Wirth hanno cominciato a sostenere i colleghi che hanno meno mercato, essendo in grado di pagare di più per partecipare alle fiere.  Comunque, considerando le numerose pressioni cui sono sottoposte le gallerie di medio livello, non è chiaro se tali incentivi possano veramente sostenere le loro posizioni nelle fiere di lungo termine.

Invece di questi incentivi, le fiere d’arte commerciali come quella di Basilea potrebbero cambiare il loro modello, facendo pagare una tariffa contenuta ai partecipanti e trattenendo una percentuale sulle vendite. Questo è il sistema usato a Spring/Break, una fiera nata sette anni fa a New York e concepita per presentare “artisti sconosciuti, emergenti, di medio livello e oltre”.  Spring/Break non ha il richiamo o la competitività di Frieze, e i galleristi difficilmente vi traggono l’utile che assicura una fiera di livello superiore; ma è anche vero che nessuno dei partecipanti rischia grosse perdite finanziarie, mentre la tariffa contenuta di partecipazione arricchisce la gamma di curatori e artisti presenti.  Se anche le grandi fiere adottassero il sistema basato sulle percentuali si rimuoverebbero tutti i limiti che si pongono quando si tratta di attrarre i collezionisti alle fiere e si potrebbero garantire cose come…. l’aria condizionata. Un vantaggio per tutti, forse.  

Performance del bambino gigante in elio di Eduardo Navarro ed Alex Da Corte. Immagine New York Times

A conti fatti, il rischio è che le gallerie smettano di cercare soluzioni per partecipare alle fiere e vi rinuncino del tutto. Josè Freire ha già rinunciato. Prima di gettare la spugna Freire aveva fatto 78 fiere negli ultimi 17 anni, il che significa circa 5 fiere l’anno. Dopo due edizioni di Freize Art Fair – e dopo la crisi economica del 2008 – questa programmazione a rotta di collo non era più possibile. “Penso che la fiera d’arte più economica cui abbiamo mai partecipato sia stata la  Art Los Angeles Contemporary. Uno stand lì è molto abbordabile – circa 25.000 dollari –, e se aggiungi i costi di montaggio, trasporto e staff si finisce a spendere 50.000 dollari”. La più ingente perdita economica della galleria Team è stata di 300.000 dollari.  Freire è anche dell’idea che una volta che una galleria raggiunge un certo livello di riconoscimento di marchio, allora è più difficile incontrare nuovi collezionisti alle fiere. E poiché  le gallerie di medio livello vengono spinte fuori, i collezionisti hanno meno probabilità di scoprire nuovi artisti, poiché gli stand diventano sempre più saturi di artisti al top che hanno già dimostrato di generare profitti (o almeno di far pareggiare). Secondo Freire, nemmeno il nuovo sistema di tariffe differenziate può cancellare le disuguaglianze strutturali radicate nel mondo dell’arte. “Direi che nel mercato ci sono solo tre gallerie grandi, o quattro, se si vuole  includere, come qualcuno dice, la Pace; ma David Zwirner, Gagosian e Hauser & Wirth restano le sole tre grandi gallerie nel mondo, e tutti gli altri non sono loro. E il  gap non diminuirà col tempo, anzi mi sembra che sia solo destinato a crescere”. 

Il nuovo sistema di tariffe differenziate di Basilea può essere una riforma utile, ma non è chiaro se, nei fatti, le fiere dovranno essere salvate. Invece di continuare a cercare modi  per posizionare  gallerie di livello medio alle fiere d’arte, l’industria dovrebbe concentrarsi sul portare i collezionisti nelle gallerie, riducendo, in generale, il bisogno stesso di fare fiere. Inoltre, seguendo l’esempio dei lavoratori riuniti nel MoMA  Union 2110, le gallerie di medio livello, riconoscendo gli interessi  che condividono, potrebbero lavorare in modo collaborativo anziché considerarsi in competizione.  Il primo passo di questo sforzo sinergico potrebbe essere l’apertura notturna in simultanea di tutte le gallerie situate in uno stesso quartiere, e la promozione di un calendario di aperture che alterna un quartiere all’altro. Tutto ciò è possibile: ma si può realizzare solo se si prende coscienza che le fiere d’arte non funzionano e  si fa uno  sforzo per muoversi come collettività verso nuove alternative.

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