Incontro sempre volentieri Giulio Saverio Rossi e le sue opere, attualmente esposte a Bologna in due differenti mostre.
La prima è una collettiva a cura di Marcello Tedesco presso il Museo Temporaneo Navile, la quale prevede inoltre un dispositivo di prestito molto particolare.
Le opere, infatti, terminato il periodo di esposizione nella project room, possono essere richieste dagli abitanti della Trilogia Navile e trasformare così, in alcune occasioni, le abitazioni private in un luogo di contemplazione aperto al pubblico.
la seconda è presso la galleria CAR DRDE, un progetto espositivo ideato da Giulio Saverio Rossi in collaborazione con Davide Rosi Degli Esposti. Artista e gallerista hanno dato vita ad una mostra dal titolo “Cloud, Meteor, and Star Are Men Seen from Afar”, citazione di un verso di William Blake, che rimanda alla febbrile ricerca dell’artista nei confronti della rappresentazione del vero e dell’eterno, al di là della porzione di vita assegnata a ognuno.
Ho parlato con Giulio Saverio all’inaugurazione e, dopo la lettura del suo testo introduttivo e una chiacchierata elettronica, gli ho rivolto le domande che seguono.
Qual è la genesi del progetto “Cloud, Meteor, and Star Are Men Seen from Afar” e come ha preso forma la collaborazione con Davide Rosi Degli Esposti?
Dopo la mostra personale Ogni cosa rappresa(2018, CAR DRDE) il gallerista Davide Rosi Degli Esposti mi ha invitato a dare seguito alla nostra collaborazione. Credo che, un po’ per gioco e un po’ per sfida, volesse sondare il mio pensiero sull’arte in relazione ai lavori di altri artisti. Il rapporto fra di noi è stato uno scambio continuo di suggestioni, di artisti che abbiamo caldeggiato e bocciato a vicenda, momenti di riflessione e momenti frenetici, fino ad arrivare ad un insieme organico basato sui singoli lavori in mostra, con opere di GL Brierley, Elia Cantori, Davide La Montagna, Alberto Scodro e mie. Il titolo è una citazione di una lettera scritta da William Blake, un suo verso a cui ho pensato molto spesso.
In alcune delle opere si rivela importante la categoria del tempo, come nell’arte barocca, in cui simboli quali il teschio o i fiori provano a rendere il concetto dello scorrere del tempo all’interno di oggetti immutabili. Penso ad esempio all’opera Untitled Sunflowerdi Alberto Scordo, che propone il paradosso di un girasole immobile, stratificato nelle sue costanti mutazioni e catturato in un’unica possibile forma dall’artista, oppure alla sofisticata declinazione del concetto di fiore operata da Davide La Montagna. Un ”inganno” dell’arte che sopravvive anche quando si tenta di porvi rimedio?
Scriveva Walter Benjamin in L’origine del dramma barocco tedesco (1928): «C’è un’escatologia barocca; e proprio perciò un meccanismo che accumula ed esalta tutto ciò che è terreno prima di consegnarlo alla fine». La mostra si struttura sulla stessa dinamica: esaltazione della forma come momento mediano e temporaneo all’interno di un flusso del divenire che incessantemente scorre verso il proprio annullamento. Non si tratta però della rielaborazione di un memento mori, piuttosto di una mostra che invita il fruitore a scardinare l’opera come forma chiusa per attivare la portata immaginativa racchiusa nei singoli lavori.
Il calco in alluminio di uno specchio barocco per Elia Cantori, la mia replica in pittura di una finestra domestica, l’uso duplice dei fiori in Davide La Montagna, il girasole in Alberto Scodro e la pittura stessa in GL Brierley sono tutti tentativi paradossali di imitare un qualcosa di reale ma a cui si può aderire solo parzialmente e temporaneamente. In questo senso sì, l’arte ha a che fare con un inganno che da un lato combacia e dall’altro differisce rispetto al modello iniziale. Del resto Hermes, il suo dio tutelare, era al contempo la divinità dei ladri, dei maghi, dei bugiardi e degli assassini. L’arte agisce nell’artificio ma solo nella misura in cui diviene uno strumento che pone sia se stessa che la realtà come inganno. Rivelare appunto, nel senso di giustapporre un secondo velo sulle cose.
Segue ancora un dilemma: è corretto considerare le opere in mostra sospese tra la volontà di rappresentare un concetto e la nuda riproposizione della materia stessa con cui sono realizzate?
Sì. Se per esempio pensiamo al lavoro di Alberto Scodro sussiste sempre questa possibilità. In Untitled Sunflower ci troviamo di fronte ad una figura con il suo perimetro ben definito ma che, ad un secondo sguardo, risulta essere abitata dall’interno da una pluralità di piccoli pezzi autonomi: scarti, frammenti di coccio, vasellame vario. Si tratta del tentativo di unificare le parti di un tutto che si è precedentemente smembrato. La frammentarietà della scultura suggerisce però una latenza di una futura rovina, un nuovo possibile smembramento delle parti. O in Davide La Montagna, dove da un lato abbiamo disposti a terra, con Faraway Love, dei petali di rosa che gradualmente perderanno colore e profumo, mentre dall’altro in B8 B9 l’essenza ideale del fiore, cioè il profumo, è sì salva ma al prezzo di essere nascosta dalla vista e collocata in piccole ampolle di vetro racchiuse all’interno di portagioie. In GL Brierley la pittura è inizialmente segno, pennellata, su cui l’artista torna a più riprese costruendo agglomerati tridimensionali, macchie antropomorfiche che divengono degli “uomini visti da lontano”. All’opposto della sua ricerca pittorica si colloca idealmente il mio lavoro Gipsoteca #4in cui lascio emergere la preparazione in gesso di Bologna sottostante l’immagine, attuando un cortocircuito fra l’immagine, che rappresenta una veduta rilasciata dalla NASA di tracce di gesso su Marte, e il gesso sottostante che rimanda al luogo stesso di Bologna. Le cose cercano di apparire in quanto tali ma per farlo devono essere decodificate e cortociruitate, così come in Untitled (Mirror)di Elia Cantori in cui il calco in alluminio di uno specchio barocco semplifica il legno e il vetro di partenza in uno stesso materiale, ma d’altro lato scardina la visione monoscopica dello specchio per aprirla, tramite la diffrazione della luce data dall’alluminio, ad una molteplicità dell’immaginario.
La pratica pittorica dei tuoi lavori rivela una ricerca sui materiali di grande raffinatezza, che indaga le diverse tecniche per arrivare ad un’asciuttezza del gesto. Quali sono le fasi di progettazione e di esecuzione?
La pittura è un medium che in prima battuta cita sempre sé stesso. La mia attenzione all’aspetto formale deriva dall’intendere i lavori come dei compendi di storia della pittura, il che avviene sia nell’immagine creata che nella tecnica in cui realizzo il lavoro. La processualità differisce da serie a serie, sicuramente il primo elemento è il progetto, non dipingo mai per dipingere, poi la scelta del formato che non è casuale ma si basa su un qualche parametro, che sia la proporzione del 16:9 (col suo portato simbolico e sociale) o misure che appartengono al mio quotidiano, piuttosto che calcoli che cercano di conferire dimensione reale a formati visti all’interno di fotografie o di video. Dopo questo preparo la tela di lino in modo classico, apprettatura, imprimitura a gesso e colla e preparazione del fondo, poi da qui in avanti tutto può differire nella processualità, perché intendo la pittura come un modo peculiare di tradurre delle immagini (esistenti o inesistenti), perciò ogni traduzione possibile è legata a delle regole che valgono solo al suo stesso interno, come in un gioco. Per esempio in Gipsoteca #1 (selenite) (2018) ho ripreso la processualità rinascimentale per eccellenza, sopra alla preparazione ho lavorato il disegno con fusaggine e poi un bruno a tempera, successivamente ho ricoperto il tutto con uno strato resinoso e sopra a questo ho dipinto l’elemento centrale. Il quadro ha a che fare con la simulazione di un oggetto, la selenite da cui si ricava il gesso di Bologna usato nell’imprimitura della tela, proprio perciò volevo che l’immagine del minerale fosse fluttuante e non immersa dentro la trama della tela, il fondo resinoso funziona da citazione e narrativamente racconta la storia di una separazione fra l’immagine della selenite e la base di gesso sottostante.
A proposito di ricerca: molte volte il risultato dei singoli lavori può variare proprio perché non si adoperano metodi consolidati, ma si indaga per cercarne dei nuovi. Come ti poni di fronte ai risultati inattesi?
Sono molto legato ad un’idea di pittura post stilistica, l’unità del mio lavoro è data dalla base concettuale in cui si radica. Quando Marcello Tedesco mi ha invitato alla collettiva Territori, nella project room del MTN Museo Temporaneo Navile, mi ha chiesto di proporre un piccolo pezzo che fosse rappresentativo del “mio territorio estetico”. Umor Acqueo, che ho presentato in mostra, si basa su una figurazione lontana da quello che ho fatto fino ad oggi e sull’uso di due pigmenti fotosensibili mai usati in precedenza, con tonalità grigio blu che non emergono in nessun altro mio lavoro. Credo che l’idea da parte mia fosse di mostrare proprio quello di cui mi domandi: pur muovendomi all’interno dell’orizzonte estetico della pittura, per me ogni opera differisce dall’altra, è sempre inattesa. Il concetto alle sue spalle detta i margini della sua possibilità. Prevedere la rovina è la mia soluzione per saggiare il modo in cui le cose stesse cambiano.
Territori – a cura di Marcello Tedesco
fino al 5 maggio 2019
artisti in mostra: Antonella Aprile, Daniele D’Acquisto, Lorenzo Di Lucido, Luigi Massari, Samuele Menin, Matteo Messori, Fabrizio Perghem, Giulio Saverio Rossi, Namsal Siedlecki, Marcello Tedesco, Attilio Tono, Marco Useli, Jacopo Valentini, Peng Xuejian.
MTN- Museo Temporaneo Navile
via John Cage 11/a 13/a Bologna
martedì, giovedì, sabato dalle 15 alle 19 o su appuntamento – ingresso gratuito
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Cloud, Meteor, and Star Are Men Seen from Afar – da un progetto di Giulio Saverio Rossi e Davide Rosi Degli Esposti
fino al 1 giugno 2019
artisti in mostra: GL Brierley, Elia Cantori, Davide La Montagna, Alberto Scodro, Giulio Saverio Rossi
CAR DRDE
Via Azzo Gardino 14/a
dal mercoledì al sabato dalle 15:00 alle 19.30 e su appuntamento