La settimana di “Segno” comincia con una riflessione sulla “Bellezza” di Dario Orphée La Mendola: una provocazione o una rassegnata consapevolezza sul “cattivo gusto” che ci circonda e quel “capovolgimento immanente” che, teorizzato da Baudrillard negli anni Ottanta, oggi è molto più che riassestato.
1) I tedeschi hanno una parola per indicare quello che in italiano intendiamo con “cattivo gusto”, e cioè “kitsch”. Si tratta di un sostantivo, introdotto in Germania nel XIX secolo, che potremmo tradurre con “scarto”, e che è passato nell’uso comune per giudicare quei prodotti ipoteticamente artistici e assolutamente inutili.
Sono “kitsch”, per fare degli esempi, quei quadretti o quei fiori di plastica venduti a un euro al pezzo, presenti tra i chilometrici scaffali dei negozi gestiti dai cinesi. Ma sono altrettanto “kitsch” quei comportamenti, oggi tanto in voga, che evidenziano disastrose carenze percettive. Mi spiego meglio, nella maniera più banale possibile (e sarà edificante essere banale, lo ammetto).
2) Quando osserviamo una parte della realtà, come l’oggetto X, e crediamo che esso sia la realtà intera, e diciamo a tutti che X è bellissimo, che meglio di questo non c’è altro, che il resto fa schifo, e che ci soddisfa esteticamente, stiamo commettendo un grave errore. Sostengono infatti alcuni ecologi gestaltisti (ecologi veri, eh, non quelli che hanno preso il posto delle rockstar!), che il nostro giudizio su X è, purtroppo, un giudizio maturato soltanto da una, e ripeto una, “prospettiva”, che testimonia l’1% di quello che è possibile esperire su esso, per vari motivi: primo, non sappiamo cos’è davvero X, perché abbiamo dei dati ricavati dai sensi; e, secondo, dobbiamo riflettere ontologicamente sulle sue ripercussioni etiche, prima di pronunciare un concetto. Dunque, per evitare di scadere nel “kitsch”, e cioè per evitare di esprimersi nei confronti di X con assiomi di cultura pop e con il solito «È così, e basta…», sarebbe il caso di far seguire alla percezione di qualcosa un’emozione, più che un giudizio: quell’emozione secondo la quale è epistemologicamente gioioso avvertire che le singole parti X, Y e Z della realtà costituiscono un insieme, e che le loro relazioni possono essere indeterminabili (e spesso tragiche).
3) In conclusione. In merito a colonne finte, a passerelle dentro un Tempio greco, a yacht, a vestiti, gioielli, modelle, a kitsch diffuso e gratuito e a teorie idiote di chi propone una esegesi del cattivo gusto greco equiparato a quello contemporaneo, nulla da dire, poiché tutto è da dimostrare. In merito agli enunciati del tipo «…dai, così gira l’economia», invece, starei bene attento, e rinvierei alla rilettura di questo articolo, precisamene al punto 2, come accade nei più banali ed edificanti diagrammi di flusso.