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Documenta 14 Kassel

“Transizione”: questa la parola chiave della quattordicesima edizione di Documenta. Nella conferenza stampa di apertura Paul B. Preciado, curatore della sezione Public Programs e filosofo attivista transgender, si rivolge al pubblico definendosi il “mostro che parla ad una platea di mostri”, e descrive Documenta 14 come transizione dei corpi, transizione culturale, transizione dell’arte da Atene a Kassel. Ma più che di transizione si può parlare di replica. Per chi ha visitato la mostra ad Atene le novità a Kassel sono davvero poche, anche se il primo approccio, rappresentato dal Partenone dei libri nella Friedrichsplatz, è impattante: il lavoro dell’argentina Marta Minujín è la riproposizione del Partenone che lei stessa eresse nel 1977 a Buenos Aires. Un work in progress costituito da una maestosa struttura in ferro che sostiene migliaia di libri incellophanati donati dai visitatori durante i 100 giorni della mostra.

Documenta 14 Kassel Marta Minujín, The Parthenon of Books, 2017

Nel Museo Fridericianum, sede storica della manifestazione, ribattezzato sul frontone con l’epigrafe “BEINGSAFEISSCARY” (Essere sicuri fa paura), viene proposta una versione riadattata della collezione dell’EMST, Museo Nazionale di Arte Contemporanea in Grecia, a cura della direttrice Katerina Koskina, presentata ad aprile nella città di Atene.

Ad accogliere il visitatore all’ingresso il mosaico digitale proiettato a terra di Nikos Alexiou; proseguendo nelle numerose sale, oltre ai tanti nomi più o meno conosciuti del panorama greco, in mostra alcuni pezzi storici di Bill Viola e Jan Fabre. Ma, mentre al centro della prima sala campeggiano i sacchi di carbone di Jannis Kounellis, opera storica del 1993, nella torre della dépendance Costas Varotsos installa una nuova opera: i suoi vetri, rappresentanti le bandiere dell’Unione Europea, sono qui rotti sul pavimento. Facile interpretazione ma di grande effetto.

Nella Documenta Halle sorprende però il lavoro di Guillermo Galindo con le sue partiture musicali rappresentate come mosaici di pixel, presenti anche alla Neue Galerie, e i due relitti di barche in legno usate dai migranti a Lesbo, che l’artista trasforma in strumenti musicali. In tema di riproposizione anche l’installazione-performance con scrivanie e nastro adesivo di Marie Cool e Fabio Balducci e il lavoro “Fundi” del maliano Aboubakar Fofana, che più che una riproposizione è un’opera transnazionale: le piante utilizzate per ricavare i colori organici usati per tingere le tele di fibra naturale sono state coltivate nei vivai di Atene e Kassel.

A sorprendere positivamente è il nuovo spazio denominato Neue Neue Galerie: ereditato dalle Poste tedesche, evoca l’idea di partenza e di arrivo nel quale gli artisti proseguono la linea ideale, l’asse Kassel-Atene. Colpiscono il visitatore la sovrapposizione di volti e dipinti nell’enorme videowall al piano terra Atlas Fractured di Theo Eshetu, le performance ed i riflettori accecanti di Maria Hassabi, i lingotti di ferro e acciaio di Dan Peterman trait d’union tra le varie location della città – nella loro accezione di transizione e continuità tra passato e futuro, di materiale riconvertito e in divenire – e la tenda di teschi di alci di Máret Ánne Sara, installazione denuncia dei modi in cui il potere coloniale viene esercitato attraverso la legge, che conferiscono un’atmosfera evocativa allo spazio riconvertito.

Allo Stadtmuseum l’installazione site specific di Regina José Galindo, costituita da una camera asettica ai lati della quale 4 Fucili G36 da assalto sono puntati su un bersaglio al centro della stanza (con performance dell’artista nei giorni inaugurali), critica i trafficanti di armi – tra i quali spicca anche la Germania. Le 270 stampe di fotografie di Hans Eijkelboom spingono a riflettere sulla globalizzazione: ogni tavola propone 12 fotografie, scatti rubati realizzati nella stessa giornata e nello stesso luogo in un breve arco di tempo, di persone e passanti inconsapevoli in atteggiamenti o abbigliamento incredibilmente simili.

L’iracheno Hiwa K ripropone il tema dell’accoglienza nella grande installazione all’esterno della Halle, ricostruendo ambienti domestici in grossi tubi in argilla.

Documenta 14 Kassel Hiwa K, When We Were Exhaling Images, 2017

Degni di nota, nello spazio dell’Orangerie, il video di canti Bizantini del tedesco Romuald Karmakar che sottolinea l’influenza bizantina in Germania e Grecia; nella Neue Galerie, Real Nazis, la denuncia anti-nazista di Piotr Uklanski, i Glass Pavilions, ex spazi industriali, vere e proprie vetrine su fronte strada, che si prestano ad accogliere il Panificio di Nassib di Mounira Al Sohl, luogo di accoglienza e riconversione al lavoro per persone con minorazioni fisiche o mentali in particolare difficoltà in situazioni di conflitto.

Di particolare intensità lo spazio della vecchia stazione della metropolitana KulturBanhof al quale si accede (anche qui metaforicamente) attraverso un container. Scendendo le scale il visitatore viene avvolto dalle note delle serenate dell’installazione video di Nikhil Chopra che rappresenta un viaggio lungo 3000 chilometri da Atene a Kassel segnando una immaginaria linea di congiunzione tra le città che attraversa; proseguendo, prima di accedere alle banchine dismesse ci si imbatte nei banchi di scuola dell’opera video di iQhiya. Una volta sulla banchina i vecchi binari evocativamente conducono verso l’uscita del tunnel, dove campeggia l’opera del greco Zafos Xagoraris, la scritta Xaipete! (in greco “Benvenuti”), cartello di benvenuto nei campi di accoglienza per profughi in Grecia, che evoca sinistre assonanze con i cartelli posti all’ingresso dei campi di concentramento.

Nelle intenzioni dunque Documenta 14, la mostra in due atti, si è proposta come una piattaforma di sperimentazione tra Atene e Kassel, dove le tensioni generatesi dalla crisi europea fra i due paesi vengono poste a confronto e divengono punto di partenza per strategie artistiche “criticamente” aperte.

© Foto Roberto Sala

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