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DISIO | Nostalgia del futuro

S’intitola Disio. Nostalgia del futuro la mostra promossa dall’Ambasciata d’Italia e l’Istituto Italiano di Cultura, in collaborazione con il Centro Cultural Chacao, Cultura Chacao, Sala TAC, Trasnocho Cultural, CAVENIT, Vinccler, Trevi, Fundavag-Vagnoni, Ghella, Bulkguasare, Astaldi e Solera, a Caracas in Venezuela, a cura di Antonello Tolve. Si tratta di un’esposizione internazionale, con tanti artisti pensata, innanzi tutto, per creare un rapporto di partecipazione fra artisti italiani e venezuelani, reale e concreto, intergenerazionale e multiculturale, necessario nell’attualità e sentito come urgenza proprio in questo momento storico che vede il Venezuela sconvolto dalla crisi e una serie di proteste intensificatesi a partire dalla fine di marzo 2017.

Gli artisti protagonisti di questo gemellaggio, le cui opere sono allocate negli spazi della Sala TAC (Trasnocho Cultural) e de La Caja (Centro Cultural Chacao) oltre che all’Istituto Italiano di Cultura, sono: Adolfo Alayón, Luis Arroyo, Camilo Barboza, Ángela Bonadies, Hayfer Brea, Zeinab Rebeca Bulhossen, Iván Candeo, Max Coppeta, Fabrizio Cotognini, Antonio Della Guardia, Magdalena Fernández, Jason Galarraga, Manuel Eduardo González, Domenico Antonio Mancini, Luis Millé, Antonio Paz, Enrico Pulsoni, Giovanni Termini, Eugenio Tibaldi, Eduardo Vargas Rico.

Ad essi si affiancano figure di natura sovra-storica e sovra-geografica: Armando Reverón, Umberto Boccioni, Marcel Duchamp, Kasimir Malevic, le cui presenze, di indiscutibile portata estetica, scavalcano il tempo, lo spazio e ogni genere di territorialità, facendosi al contempo, sinonimo di quel Disio, termine preso a prestito da Dante e declamato nel titolo. E nel Disio, esso stesso Nostalgia del Futuro, si cela anche un’importante dichiarazione d’intenti: “appropriarsi del presente e conoscere il passato per proiettarci in un futuro migliore” (Tolve).  

Per raccontare e descrivere questa mostra, che chiuderà il prossimo 9 luglio, abbiamo scelto di pubblicare interamente i testi di Antonello Tolve – curatore – e Silvio Mignano – Ambasciatore d’Italia in Venezuela, lasciando alla loro stessa riflessione critica la connessione più autentica e diretta possibile con il lettore.

 

L’ora che volge il disio di Antonello Tolve

Era già l’ora che volge il disio
Ai navicanti e ’ntenerisce il core
Lo dì c’han detto ai dolci amici addio

Dante, Purgatorio, VIII, vv. 1-3.

Intergenerazionale, transmediale e multiculturale, Disio. Nostalgia del futuro presenta un gemellaggio costruttivo tra due paesi che presentano alcune caratteristiche estetiche simili, alcune confluenze visive e alcuni atteggiamenti che saltano il fosso della diversità per dar luogo ad una serie di scambi, di interventi intermittenti tesi a creare vie di fuga, forze plurivoche, corali, coralline, polifoniche – la cui polifonia pone le basi di una riflessione sulla fratellanza, sui pensieri ancora pensabili, sui domini della libertà.

Segnata da un rapporto di partecipazione culturale, di contaminazione linguistica, di necessaria coesistenza delle differenze e dalla basilare evocazione di un unterschiedlich (Nietzsche), la mostra riflette su una serie di fenomeni contemporanei che, nati dall’impeto della mondializzazione, mostrano codici estetici sempre più aperti alla fusione di stili, di espressioni, di formule creative che superano il confine del quotidiano e trasformano l’opera in un dispositivo di ordine riflessivo che non solo invita a vedere da un’altezza nuova il mondo, le cose, gli avvenimenti, ma anche a rinnovare la figura dell’osservatore, a tramutarlo in un ricercatore, in una figura produttiva che ricrea dentro di sé l’opera e la proietta, poi, con le proprie categorie, nella vita che concretamente vive per scoprirne la realtà latente.

Divisa in tre sezioni – La presenza del futuro, Tornare e Passato prossimo – ognuna delle quali è da intendersi come confluenza delle altre, Disio (termine preso a prestito da Dante per indicare lo sgambetto al tempo della saudade) vuole essere oggi un momento di riflessione e di dibattito critico sullo stato dell’arte, un luogo che tra senso e libertà riattiva il giudizio critico e l’intelligenza da un’atmosfera dalla qual sono spesso banditi.

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Come un cervello o una mente che si estende e tesse la costruzione magica del nuovo, La presenza del futuro vuole essere un perno la cui rotazione centrifuga mostra la visione poetica e profetica del futuro e di un territorio artistico sovrastorico, sovratemporale.

Generata dall’incontro di alcune figure (Armando Reverón, Umberto Boccioni, Marcel Duchamp, Kazimir Malevič) la cui indiscutibile portata estetica scavalca il tempo, lo spazio e ogni genere di territorialità per disegnare un quadrato – formato dal Teléfono di Reverón, dal disegno per le Forme uniche di continuità nello spazio di Boccioni, dal Disegno Suprematista di Malevič e dal Nudo in piedi di Duchamp – il cui potere magnetico è visione futura, presenza costante dell’attuale, lettura dell’avvenire. Due nomi di recente generazione (Luis Arroyo e Magdalena Fernandez) entrano in questo anello visivo con un lavoro congiunto, come appendici di una riflessione che si estende al presente e alle presenze d’oggi per evidenziare una crescita dell’arte, del pensiero critico, dell’ideologia celeste che agisce sul futuro in quanto tempo di una coniugazione. Con un’opera significativa, sempre nella stessa area, cinque artisti italiani e dieci venezuelani presenti anche nella sezione di mezzo (Tornare), presentano una traccia estetica del loro lavoro, un indizio, una impronta capace di marcare la loro visione del mondo, il loro sguardo a venire.

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La sezione dedicata al ritorno è il cuore della mostra, e vuole proporre i lavori site specific nati dal trialogo degli artisti delle cinque generazioni che ricoprono idealmente il secondo Novecento – si messe in conversazione a questi artisti dapprima in maniera epistolare e poi reale, con lo scopo di farli lavorare insieme, auspicando che realizzassero opere a sei mani tra gli spazi interni ed esterni, tra l’aperto e il chiuso, tra l’Innen e l’Aussen.

Grazie alla forza creatrice di cinque artisti italiani – Enrico Pulsoni (1956), Giovanni Termini (1969), Eugenio Tibaldi (1977), Domenico Antonio Mancini (1980) e Antonio Della Guardia (1990) – in dialogo con dieci artisti venezuelani – Jason Galarraga e Adolfo Alayón (per gli anni Cinquanta), Luis Millé e Zeinab Rebeca Bulhossen (per gli anni Sessanta), Hayfer Brea e Angela Bonadies (per gli anni Settanta), Ivan Candeo e Camilo Barboza (per gli anni Ottanta), Eduardo Vargas Rico e Manuel Eduardo González (per gli anni Novanta) – la mostra vuole proporre, in un quadro di incerti equilibri economici, politici e sociali, la magia di un risveglio, l’entusiasmo bipolare di riprendere in mano la tradizione (la perennità di valori acquisiti nel passato che si proiettano nel futuro), il desiderio di un impegno comune.

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Partendo da un clima socio-antropologico e dall’installazione unica di ‘guapas’ yekuana, la terza sezione Passato prossimo pone al centro dell’attenzione lo spazio perfetto di una geometria che caratterizza non solo molte delle riflessioni artistiche italiane nate in seno ai gruppi dell’Arte Cinetica e Programmata dei primi anni Sessanta del XX secolo che si intersecano con i nomi lucenti di Jesús Soto e Carlos Cruz-Diez, ma anche alcune dinamiche delle culture attuali. Si tratta di un secondo quadrato che, grazie al lavoro di un artista venezuelano (Antonio Paz) e di due artisti italiani (Max Coppeta e Fabrizio Cotognini), costruisce un momento irrinunciabile, una riflessione sullo splendore della geometria, un itinerario sul furor mathematicus attuale.

In fondo ha tutto a che fare con l’amore di Silvio Mignano

«Dante affretta le colombe al nido per impazienza d’amore»: così Ugo Foscolo spiegava il verso 82 del canto V dell’Infermo, Quali colombe dal disio chiamate. La parola torna nel verso di apertura del canto VIII del Purgatorio: Era già l’ora che volge il disio. Quest’ultimo non è soltanto il desiderio – dell’amato, della casa o dei dolci amici ai quali si è detto addio – ma qualcosa di più, di trasversale ai modi temporali dei verbi e dunque tale da creare un ponte tra il presente, il passato e il futuro: è il desiderio di una cosa futura, che tuttavia non è certa, come non è mai certo ciò che appartiene al futuro; ed è perciò anche una forma di rimpianto, singolare perché normalmente il rimpianto si collega al passato, a ciò che si è dovuto abbandonare e che perciò si è perso, mentre qui siamo di fronte al rimpianto di qualcosa che non si è ancora avuto.

Attorno a questo concetto meraviglioso nella sua semplice aura di mistero, si è deciso un anno fa di costruire il progetto Disio: nato attorno a un tavolino in un giardino di Caracas, sotto l’ombra di un mango gravido di frutti e con il volo di enormi pappagalli assurdamente colorati, altissimi nel cielo. Parlandone con Antonello Tolve ci soffermammo proprio su quella parola dantesca e sulla sua intraducibilità, e attorno ad essa costruimmo, con l’intervento entusiastico dell’Ambasciata e dell’Istituto italiano di cultura, l’incontro tra sette artisti italiani e quattordici venezuelani, appartenenti a cinque diverse generazioni. Il progetto prevede il dialogo orizzontale tra italiani e venezuelani, all’interno di ciascuna generazione, e quello verticale, o trasversale, tra l’una e l’altra generazione. Il tutto è garantito e certificato, se così si può dire, da un gruppo di opere di autori ormai codificati e appartenenti al patrimonio di ciascuno di noi: Boccioni, Malevič, Reverón, Duchamp: opere che vengono dal passato ma che si situano in un presente senza tempo, e dunque esistono già oggi in un tempo futuro al quale noi non siamo ancora arrivati ma verso il quale guardiamo, con quello slancio ideale contenuto nella parola disio.

Ed è bello pensare allora che un altro artista, Dante Alighieri, faccia parte del progetto e sia presente con noi nelle sale della TAC e della Caja, sorridendoci con le labbra sottili, appena stirate, con un misto di affetto e di bonaria ironia, riconoscendo anche in noi le colombe dal disio chiamate. Perché in fondo ha tutto a che fare con l’amore: quello che nello stesso canto V dell’Inferno nulla amato amar perdona, o quello che nel canto VIII del Purgatorio punge il novo peregrin, e che qui si declina come sentimento di unione tra i popoli, di solidarietà tra le generazioni, di passione per la bellezza e per la salvazione che da essa arriva sempre.

 

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