La Fondazione Pescarabruzzo dedica una bellissima mostra ad Andrea Pazienza nella sala espositiva di Corso Umberto a Pescara. Il fumettista, originario di San Severo e scomparso nel 1988 a soli 32 anni, viene ricordato attraverso decine di tavole originali e da un esaustivo documentario di Rai4 (in due episodi di Fumettology). In Trent’anni senza è possibile ammirare, fino al 16 dicembre, la “linea chiara” dell’artista Andrea Pazienza. Il segno che i suoi colleghi tracciano a china viene da lui invece disegnato col pennarello. Un segno deciso, senza esitazioni, ammirabile dalle tavole originali esposte. Il suo percorso artistico comincia a Pescara quando, ancora studente, viene invitato a partecipare ad una collettiva insieme ai suoi professori del liceo artistico. Siamo nel 1974 e nello spazio Convergenze di Pescara Peppino D’Emilio porta nella provincia l’attualità dell’arte contemporanea. In quello stesso spazio vedeva la luce anche la rivista Segno per la quale Pazienza disegnò 2 tavole pubblicate nei primi due numeri.
Ho incontrato più d’un visitatore aggirarsi tra le tavole originali di Andrea Pazienza portando al guinzaglio un rospo. In gola. Occhi lucidi riflessi sul vetro dietro cui non c’è più carta con dell’inchiostro sopra, ma le ultime, eternate, tracce di un ragazzo. Qui a Pescara Andrea non è il mito, l’icona, il cantore del ’77, il santino protettore del fumetto italiano, il nostro Jim Morrison in quadricromia, no. Qui abita gente che a quel ragazzetto ha cucinato molte cene. Che gli ha rimboccato le lenzuola nella camera degli ospiti, che si è sbellicata di risate o incazzata a morte per gli scherzi, le prese in giro, le vignette, le marachelle. Che gli ha prestato libri e calzini mai restituiti, che gli ha stirato camicie e pantaloni, che lo ha amato. Come Nicoletta Di Gregorio, oggi vicepresidente della Fondazione che ha ospitato la mostra, ma che ieri era compagna di banco e perciò tra le vittime preferite di quella energia dirompente che usava tutto, ogni dettaglio minimo, ogni difetto, ogni fatterello visto o raccontato, lo passava attraverso penne biro, matite, pennarelli, colori a spirito, tutto, per trasformarlo in sputtanamento vignettistico tra la popolazione del Liceo Artistico Misticoni, che ad entrarci oggi, in Viale Kennedy, pare risuonare ancora dell’eco della sua popolarità. Come quella volta che mandò letteralmente affanculo il povero Giuseppe Fiducia, poi diventato un grande artista e che ci ha lasciato troppo presto, l’unico che stava minacciando il primato di Andrea.
Tanti, ho visto aggirarsi tra le tavole originali accarezzando con lo sguardo e con la punta del naso a pochi centimetri dalle cornici, ogni lineetta, ogni pecetta bianca incollata sopra un dettaglio che non gli andava a genio, per ritrovare la mano che stringeva il pennarello e la persona che muoveva quella mano, seguendo il percorso di ogni segno, il più piccolo, infinitesimale che fosse. Prendi le tavole di Penthotal. Segni che raccontano una chiarezza e una precisione che oggi chiameremmo computeristica. Totale padronanza e consapevolezza di dove mandare a girare la punta del pennarello, di dove versare ogni millimetro di inchiostro, beninteso, senza la benchè minima traccia di matita sottostante, perché per Andrea era buona la prima. La curva di un mento. Un piccolo ingobbimento sul setto nasale, l’arco irregolare di un sopracciglio, esseri umani fatti e finiti, veri, escono su quei fogli Fabriano, gli stessi dove Andrea poggiava il dorso della mano che tracciava quei segni. Di una resa. Invincibile. Pura sindrome di Stendhal per il visitatore di questa mostra.
Tanti erano gli Andrea Pazienza, mentre era in vita. E tanti, forse tutti, ci sono, in questa magnifica Antologica, ma più di ogni altro quel che esce forte è la passione per il corpo umano. Prendi Zanardi, in particolare “Notte di Carnevale”. Una storia con una storia. di quando Andrea viveva qui a Pescara, e tra le sue incursioni c’era l’andare a dar fastidio alle suore dell’istituto Ravasco, vicino la ferrovia, un passaggio a livello poi trasferito dall’immaginazione di Andrea a Bologna (“sembra Pescara” dice Zanna a Petra e Cola), ma che qui c’è ancora, ed è stato omaggiato da Simone Angelini (http://www.ilpescara.it/eventi/cultura/paz-fest-a-22-maggio-2016.html) in occasione del Paz Fest, un happening ospitato a Pescara per i 60 anni di Andrea, una festa di compleanno in contumacia. Quelle serate sotto le finestre delle novizie, la frustrazione di un sedicenne infoiato, hanno poi prodotto una delle vette dell’arte narrativa pazienziana. In quell’istituto Andrea immaginava passioni lesbo tra novizie procaci e poi è arrivata la sua metà oscura, Zanna, a dar fuoco a tutto, assieme a Colasanti e Petrilli (che ci rimette le penne, e non sarà l’unica volta).
Corpi femminili ce ne sono tanti, ma non solo. Polpacci maschili pelosi, toraci, addominali, calcagni, forse i suoi, di quel cultore della propria fisicità che è sempre stato, tutto vivido e tridimensionale, specie se visto da vicinissimo, fino a smarrirsi dentro l’espansione dell’inchiostro sulla porosità del foglio. Per scoprire che esiste solo un modo per capire quel mistero urlato che è stato Andrea Pazienza, osservare fino allo sfinimento le sue tavole. Su quelle tavole Andrea si è sviscerato. E te lo dice Pompeo. Leggere Pompeo sui fogli dove Andrea lo ha disegnato è un’esperienza senza ritorno. Non i soliti normali A4, ma fogli di un blocco a quadretti, disegnati su entrambi i lati, molti ancora lasciati ancora attaccati tra loro, per capire come Andrea abbia fisicamente creato la storia che più di tutte mostra la sua dipendenza dall’eroina.
Non sono tavole in una mostra, ma molto di più. Sono l’ultima estensione della sua persona, come ciuffi di capelli, unghie o brandelli della sua carne. Cartucce d’inchiostro collegate a vene e arterie. Vita propria e altrui trasferita a noi attraverso cellulosa.