Dopo aver considerato per anni la natura meramente “materia prima”, cioè materia da cui attingere fonti, e non soggetto dell’esistenza stessa, adesso un lento cambiamento di prospettiva sta per prendere piede con un’illuminazione della coscienza che cammina braccio a bracco con l’istinto di sopravvivenza.
Oggi che essa viene meno, soffocata da costanti mortificazioni (e non mi pare che questa sia inclinazione ideologica del sottoscritto), a venir meno è soprattutto colui che, sulla natura, poggia per il destino della gravità i propri piedi.
Fa strano a pensare all’algoritmo seguente: se ciò che osserviamo, con sguardo libero, non con quello del narratore artista o fotografo, è uno scenario preoccupante (e la scena va immaginata con una proiezione al futuro; non molto lontano), dall’altro lato è difficile negare che il sentimento di questa osservazione sia, a sua volta, il frutto di un progetto di distruzione di un essere “naturale” che ha “sognato” il profitto. (Contraddizione? La domanda rimane qui.)
Eppure, con la lenta scomparsa di ciò che ritenevamo “materia prima”, anche quella dell’uomo (da sempre celata) inizia a subire negative conseguenze. Tra tutte le “materie” è, drasticamente, la memoria ad avvertire i colpi più duri.
Non deve sorprendere se tali ragionamenti li troviamo a una mostra, oppure nei progetti di un gruppo strutturato di artisti; e non all’interno dei programmi indecifrabili, spesso inutili, degli organi (più?) competenti, e che da alcuni decenni dimostrano improduttività mista a nausea.
Ne “La memoria dell’albero”, infatti, tenutasi alla Civica Galleria di Arte di Palazzo Moncada, a Caltanissetta, c’è stato tutto questo. La mostra, scandita in quattro “sezioni” tematiche, tanti quanti i punti di vista, ha indagato ognuna su elementi della nostra accartocciata società naturale: interrogativi sul giardino quelli di Giovanni Bartolozzi, dalla definizione alla comparsa di esso; la malincoia dei paesaggi costruiti, artificiali, e non più umani, ma post-industriali, quelli di Domenico Cipollina; di memoria e paesaggio, e della luce nella fotografia, con Santo Eduardo Di Miceli; del nostro respiro, della biodiversità e delle ampie campagne del nisseno con Michele Lombardo.
«Se ricordare -scrivono gli autori nel testo- vuol dire riportare al cuore, noi siamo capaci con il ricordo di conservare e di onorare la memoria di una persona speciale della nostra vita. Abbiamo il dovere e il compito di farlo, altrimenti la nostra vita resta vuota e priva di senso: perché senza raccontare le persone a cui abbiamo voluto bene non siamo niente. Allora la Memoria dell’Albero vuole essere un progetto che lavora sulla memoria collettiva per vivere un presente che, sempre più arido di valori, ci proietti in un futuro migliore e differente. La prospettiva di vita nelle città comincia ad essere drammatica e caotica. Le persone hanno uno stile di vita sempre più soffocante e non riescono più ad entrare in relazione tra loro e a vivere in una comunità, perché orientate all’individualismo sfrenato. La Memoria dell’Albero vuole essere una comunità da costruire in Sicilia […] Il progetto vuole affermare che solo con il ritorno a una vita morigerata, e ai ritmi da essa dettati, senza più trasformarli per produrre di più, e per fare solo profitto, ma accontentandoci e saziandoci di quello che essa ci fornirà con le adeguate cure, potremo guarire. Siamo convinti che per stare bene nel corpo e nell’anima, l’uomo debba tornare a spogliarsi da tutti quegli orpelli di cui la vita in città, il consumismo, i mass media, lo hanno adornato. L’uomo, per stare bene, ha bisogno di poco. Ha bisogno solo di ciò che è capace e che riesce a produrre. Però l’uomo non è soltanto un animale: l’uomo ha anche bisogno di nutrire la sua anima, di dar spazio alla sua creatività».
Qui sotto una galleria di foto con le opere di: Domenico Cipollina, Santo Eduardo Di Miceli, Michele Lombardo, Giovanni Bartolozzi.
Galleria Civica d’Arte Palazzo Moncada
Fino al 16 giugno
Largo Barile, 5, 93100 Caltanissetta CL