Abbiamo incontrato I Materiali della Memoria di Fernando De Filippi a Lecce, mostra conclusa il 5 maggio, presso la Galleria Art&Co. di Lecce; quelli di De Filippi sono materiali che muovono dal tentativo di ammorbidire la rigidità delle definizioni temporali, lasciando percepire quanto la materia dell’arte sia sempre stata protagonista di un azione dinamica, pronta a rimettere in circolo energia creativa e nuova, perché nuovi sono sempre stati gli organismi di pensiero e di espressione.
Infatti si è soliti agganciare una definizione di memoria all’idea di un tempo già trascorso e fin troppo vissuto. Nel far questo si rischia di declinare a un passato remoto, le attività di un’esperienza, che permangono in atto e che alla memoria stessa chiedono di qualificarsi non come arcipelaghi ideologici lasciati in balìa delle correnti, ma in quanto materiale da interrogare e da rimettere alla prova, per scoprire se proprio nello scorrere del tempo qualcosa è cambiato, e come.
Paul Gauguin sostenne che, paradossalmente, l’arte può rivelarsi o plagio o rivoluzione; sta esattamente all’artista la responsabilità di scegliere quale linguaggio adottare, come schierare i materiali della sua esperienza, del suo rapporto con il mondo e i suoi sistemi di significato. Perché un supporto non è mai solo materia da lasciare corrodere e mai solo memoria da intellettualizzare per un controllo di massa. Nella scelta tra un plagio e una rivoluzione posa la differenza di un’Arte che sa farsi Storia, correndo il rischio di privarsi dei complementi di specificazione, pur rilevando che in ogni tempo esiste sempre un materiale su cui riflettere, a cui dedicarsi, per cui tramandare memoria.
Fernando De Filippi, confermato artista che ha sempre saputo rivoluzionare e rivoluzionarsi negli ambiti della pittura, della scultura e della scenografia, dimostrando massima dedizione e cura anche nelle attività di Direttore e di docente di Accademia, si è sempre contraddistinto, sin dal suo esordio nel ‘59, nel condurre la sua arte entro un percorso di assidua conoscenza storica, sociale nonché materiale e performativa, al fine di restituire un raffinato iter artistico, che non dimentica la concretezza e una militanza intellettuale.
E il 17° Premio d’Arte di Novara per il riconoscimento di una carriera profondamente radicata nel panorama artistico internazionale, dopo Michelangelo Pistoletto, Mimmo Rotella, Gillo Dorfles, Ugo Nespolo, Omar Ronda, Marco Lodola, Giacomo Soffiantino, Enrico Colombotto Rosso, Elidon Xhixha, Stefano Zecchi e la Fondazione Salvatore Fiume, non poteva che essere conferito anche a Fernando De Filippi, consegnato il 14 aprile durante la cerimonia tenutasi presso le sale del Castello Visconteo Sforzesco di Novara.
Fernando De Filippi così afferma a proposito di una storia dell’arte: «Credo che ogni tesi presuppone un’ antitesi. Tutta la Storia dell’ Arte ha una serie di corsi e di ricorsi; credo che esiste sempre un problema mentale al quale si sostituisce un problema passionale. Un rigore che torna e una passione che cerca di rompere quel rigore. Nell’arte è concesso tutto e il contrario di tutto. Qualsiasi affermazione presuppone una negazione, che a sua volta ri-diviene affermazione, poi abitudine, “accademia”. Come dicevo prima, mi interessano meno quei lavori monotematici, che suggeriscono sempre un’idea di fuga dalla realtà e da ogni forma di contaminazione con quegli avvenimenti che, invece, determinano esattamente la necessità dell’arte. Senza questa necessità sarebbe tutto fermo, involutivo, e mai evolutivo».
A chiusura dei lavori de I materiali della memoria, il maestro De Filippi ha partecipato al conferimento della Laurea Honoris Causa a Emilio Isgrò. L’evento è stato promosso dal critico d’arte e giornalista Carmelo Cipriani e dall’Accademia di Belle Arti di Lecce, in presenza del Direttore e Professore Andrea Rollo, in collaborazione con la Delegazione di Lecce del FAI, e dell’Associazione Culturale De la da mar. Centro Studi sulle Arti Pugliesi di Lecce. L’evento è contestualizzato alla mostra Emilio Isgrò. piccola ma preziosa mostra in Accademia, a cura di Angelo Maria Monaco che, inaugurata lo scorso 7 maggio, durerà fino al prossimo 25 maggio.
Emilio Isgrò, artista concettuale e pittore, ha saputo sviluppare un percorso altamente significativo, esordendo dapprima nella poesia, nella scrittura e nella drammaturgia da regia. A partire dagli anni Sessanta, Isgrò ha dato vita a un’opera tra le più rivoluzionarie e originali, che gli ha valso diverse partecipazioni alla Biennale di Venezia (1972, 1978, 1986, 1993) e il primo premio alla Biennale di San Paolo (1977). Nella sua cancellaturad’avanguardia, Isgrò ha mirato a salvare dall’equivoco della “parola”, la magnificenza di quel che nell’arte “è” concretamente, ovvero il farsi e il disfarsi senza troppi preamboli e senza false righe. L’ arte vive dove non è e dove è non vive, questa sua citazione raccoglie direttamente dalla terra della mistificazione, il frutto maturo dell’intangibile nonché la semplicità di un linguaggio estetico incontaminato. Ironico e disarmante, Isgrò ha sottratto la determinatezza della materia dalla caducità del tempo, scegliendo di ingrandire ciò che avrebbe conosciuto l’indeterminato, e nel far questo ha restituito il valore d’identità a ciascuna piccola tessera del mosaico dell’Essere, riferendosi talvolta persino a se stesso.
D’altronde per Isgrò, la responsabilità dell’artista risiede nel dimostrare come possa avvenire la metamorfosi di un’assidua polarità in atto: dalla crisi si può riemergere, a patto che il gesto artistico riesca a trasformare un segno negativo in affermazione di nuovi significati di apertura. L’arte è, in questo,una punta di diamante in grado di risvegliare energie sopite e insieme perdita di un’identità che non cessa di diminuire, tesa a poter cancellare, per l’appunto, le distanze culturali, che nascondono un’ incomunicabilità umana del tutto apparente.