Quindi l’intreccio tra arte ed arti applicate, tentativo di dimostrare che non solo l’arte in quanto tale si dà come oggetto estetico, ma anche moda e design ormai assimilato il puro problema funzionale, vivono valenze e proiezioni che coinvolgono filosofie ed estetiche esistenziali. Non però ipotesi di un futuro probabile, ma quadro di un presente che si offre contraddittorio e non concluso, ricco di stimoli per pensare ad un ipotetico deserto temporale.
Quello che salta fuori da tutto questo è “assunto che la funzione, la funzionalità non è più di moda, la forma domina. Infatti, se l’arte rimane, come è giusto e come deve essere, in questa mostra, pittura o scultura che sia, oggetto di fruizione estetica, definito dalla decisione del critico; nel design e nella moda, la linea domina la funzionalità. Il design sembra voler abbandonare la praticità e l’utilità (rendere ambigua la funzione, ideare l’oggetto sull’immagine e non sulla funzione, aberrare un poco la dimensione, questi alcuni dei presupposti portati da Mendini e dallo Studio Alchimia) e presentarsi serenamente indifferente come oggetto in quanto tale, cosa da guardare, da toccare con mano curiosa e sensibile, simulacro di qualche cosa che poteva essere o che potrebbe essere, da usare forse, ma non è necessario.
La sezione degli oggetti naturali (l’altra sezione in cui si articola il design è una panoramica di oggetti già in produzione da tempo) fatti apposta per la mostra, sono le inquiete immagini di ipotesi della nostra vita futura. L’uomo ha grandi computer, grandi macchine che lo aiutano e l’oggetto diviene il gioco bizzarro ed inutile, piccolo totem di forme e simulacri quasi dimenticati.
Due livelli generazionali e linguistici propone la sezione curata da Achille Bonito Oliva: “Intrecci con scultura e con pittura”. La diversità di linguaggio permette sempre nuove fantasie e nuovi smarginamenti. L’artista conosce la tecnica, la maestria, la capacità di rinnovare ogni volta la curiosità del racconto e l’attesa di nuove storie. I diversi “parlati” portano fabule differenti, ma i territori sono sempre quelli favolosi ed eterni della nostra immaginazione.
L’attenzione si ferma e scorre veloce sulle opere. Ci sono gli ormai classici come Turcato con i suoi altissimi e coloratissimi simboli della libertà, Paladino con i suoi personaggi larve su tele paravento; Schifano il piacere dello sguardo e la grande scuola della pittura. Il grande gioiello manierista: il lavoro di Cucchi e di Chia “Scultura andata, scultura storna”, forma cangiante a seconda dei punti di vista: dolcissima o crudele, corrosa e consumata dal tempo e dalla cancrena o fresca e rinnovata dall’acqua che sgorga tranquillamente.
Tra le ultime generazioni Ernesto D’Argenio offre una pittura ricca di scontri ed esplosioni, immagini di personaggi immersi nella massa dello spazio-materia. Marco Del Re la forma della rottura e della ricomposizione delle ambigue geometrie di ricordi ripetuti. Ed infine Gianni Dessì il segno nero e forte traccia sconnessa di forme ancora immaginate e mai compiute.
La sezione della moda rimane pericolosamente al limite; in questo settore curato dalla Rossana Bossaglia, permane, nonostante lo sfarzo degli allestimenti di ogni stilista, l’ambiguo risvolto commerciale e gli intrecci con l’arte che potrebbero uscire dall’interessante serbatoio della storia dell’arte a cui tutti gli stilisti hanno attinto rimane lontano e non vengono toccati gli interessanti rapporti che esistono tra questi.
Il panorama del futuro, il paesaggio del domani non si è ancora delineato, per fortuna, le conseguenze sono ancora impreviste.
L’aricolo Conseguenze impreviste è apparso sul numero 29 della rivista Segno novembre 1982 / febbraio 1983.