Con la scomparsa di Ennio Calabria ci ha lasciato non soltanto uno dei più importanti pittori italiani del ‘900, ma anche un intellettuale a tutto tondo, un libero pensatore alla Giordano Bruno, che ha contribuito a tenere aperto per molti decenni un dibattitto sull’arte sottratto alle fumisterie spesso esoteriche della critica e, invece, completamente immerso nella vita sociale del nostro paese. Quella di “pittore sociale”, tuttavia, è un’etichetta insufficiente a contenere la molteplicità delle sue connotazioni di artista, di pensatore, di affabulatore.
Negli ultimi anni della sua formidabile ma contrastata carriera, questi ultimi aspetti sono stati posti in risalto dall’intensa attività dell’Associazione culturale di cui era Presidente, In tempo, nella quale lo affiancavano, fra le altre, figure come Rita Pedonesi, Tiziana Caroselli, Danilo Maestosi e Ida Mitrano che molto hanno contribuito alla diffusione del suo pensiero e alla sua elaborazione. Calabria, nato a Tripoli nel 1937, muove precocissimamente i suoi passi e, negli anni giovanili, la sua attività e le sue elaborazioni teoriche sono fortemente influenzate da una cultura prossima alle istanze del Sindacato e del PCI, con i quali ha intensamente collaborato fin dagli anni Sessanta.
Con l’uscita di scena delle grandi narrazioni tipica del post-moderno, l’artista comincia ad elaborare una sua personale e ambiziosa teoria che, solo a prezzo dell’enorme semplificazione a cui sono costretto dallo spazio disponibile, può essere condensata nell’espressione (di suo conio): Sum ergo cogito. Di fronte alla ambigua e tumultuosa affermazione del trinomio ipertecnologia-ipercomunicazione-ipermercato, di fronte all’incremento vertiginoso della velocità degli scambi (che lui sempre ricordava) e alla crisi di senso che esse producono, l’esortazione del maestro è stata quella a una resistenza all’insegna di un umanesimo critico e solidale, che ritrovi nell’immanenza dell’esistere criticamente il suo fondamento.
Ho voluto, un po’ controcorrente, addentrami, per quel poco che ho potuto, nella disamina di alcuni aspetti extra-pittorici dell’attività di Ennio Calabria che sono tali, però, solo apparentemente. Mai come nel caso di questo artista teoria e prassi sono intrecciate e appare così clamorosa una corrispondenza degli opposti che ne fanno un caso unico nella storia dell’arte e del pensiero contemporaneo. La dialettica, il suo procedere attraverso lo scontro di opposti che producono sintesi che – di nuovo – eternamente confliggono fra di loro, sembra essere, infatti, il formidabile motore che muove la sua ricerca estetica.
La cifra personalissima di questo autore è la sintesi che deriva dal confliggere di opposte culture estetiche: quella dell’espressionismo, del dinamismo plastico futurista, di una neo-metafisica rivisitata: il tutto sorretto da una fantasia impressionante, da una visionarietà lisergica. Metamorfismo, visione dall’alto, policromia, dinamismo prospettico, spaventosa capacità di ritrattista, virtuosismo tecnico che non sfocia mai nell’esibizione fine a sé stessa. Insomma il mondo multiforme di un genio della pittura, inquieto e generoso, tenero con gli amici e gentile, come non ti aspetteresti di fronte alla potenza della sua arte.
È facile trovare notizie della sua biografia più dettagliate. Mi basterà qui ricordare la sua partecipazione alla rivista Il pro o e il contro con Guccione, Vespignani, Attardi, Gianquinto e altri, il suo essere protagonista di quella Nuova Figurazione che, a partire dagli anni Sessanta, espresse la spinta verso una ricerca estetica impegnata a Sinistra ma libera da influenze zdanoviane. Un movimento strangolato fra Pop e Arte povera. Un anello mancante nella storia dell’arte italiana come lo definì in un bel libro Domenico Guzzi.
Ma Ennio Calabria ci ha lasciati e, purtroppo, siamo al momento triste dei saluti. Quello che ci conforta è la consapevolezza che dimenticarlo sarà impossibile. La sua arte, la sua voce, il suo sguardo intenso non ci lasceranno mai.