Questa settimana è senza pace per il mondo dell’arte e nella notte del 27 agosto, all’età di 82 anni, ci lascia anche l’amico e scultore italo-argentino Antonio Trotta, celebre per le sue opere “leggere” realizzate in marmo. Originario di Stio (Salerno), in prossimità di Paestum, nel 1937, si trasferisce con la famiglia a La Plata in Argentina, dove comincia la propria carriera artistica fondando il Gruppo Sì. Referente imprescindibile per le sue ricerche – come lui stesso ha dichiarato anche sulle pagine di Segno (n.265/2018) – fu l’argentino Fontana, conosciuto durante la sua partecipazione alla Biennale del ’68 e dove quest’ultimo era presente con una grande sala e con il quale trascorse in seguito a Comabbio tre intense giornate. Poi il rientro in Italia, a Milano dove, alla fine degli anni Sessanta comincia a progettare anche importanti interventi urbanistici in diverse città. Ha esposto con importanti gallerie fra le quali la Galleria François Lambert di Milano, la Galleria Bonomo di Bari, la Galleria Cardi di Milano e diverse le esposizioni in Italia in musei e spazi pubblici. Quattro le partecipazioni di Trotta alla Biennale di Venezia: nel 1968, nel 1976, nel 1978 e nel 1990, ma si annoverano anche quelle di Lione e di Carrara. Dal 2007, nella sua città natale a Stio, è attivo il Museo/Archivio a lui dedicato, dove si conservano alcune delle sue opere più significative e dal 2009 era anche membro della prestigiosa accademia di San Luca. Nell’ambito della scultura pubblica, nella quale fu a lungo attivo, di Trotta si ricordano il monumento alla Resistenza nei giardini pubblici di La Spezia e Abiterò il mio nome, monumento a Gabriele D’Annunzio conservato al Vittoriale degli Italiani.
Del suo peculiare modo di trattare il marmo ha dichiarato: “Da secoli il marmo finge di essere imperatore, ballerina e quant’altro. In realtà, lontano da certe retoriche, la ballerina non è più la ballerina reale. Composta di bronzo o marmo essa nasce come un nuovo essere che vive di bronzo o di marmo, lontano dall’originale effimero. […] Per me è soltanto un problema di luce. Ho capito che il marmo era il materiale che meglio mi permetteva di sviluppare una ricerca in questo senso”.