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Casa Morra atto secondo

Era a Napoli in questi giorni Hermann Nitsch. Il corpo segnato da ottant’anni vissuti all’insegna di esperienze estreme e di un indomito spirito creativo, il grande vecchio della performance, padre dell’Azionismo Viennese, era tornato per sancire il suo intenso rapporto con l’amico, collezionista e mecenate Peppe Morra. E a dirigere con occhio vigile un gruppo di giovani ed efebici volontari in un nuovo, sanguinolento e sinestetico rituale sacrificale, per l’apertura del secondo ciclo espositivo di Casa Morra. Set della performance l’enorme cortile del settecentesco Palazzo Cassano Ayerbo d’Aragona, ridotto in passato a convento e acquistato da Morra col proposito di farne la dimora privilegiata della sua enorme collezione, circa 2000 opere di artisti delle seconde avanguardie del Novecento. Ma soprattutto un luogo attivo di conservazione di memoria e di studio, nonché fulcro propulsore di un processo di rigenerazione urbana che coinvolge l’intero quartiere, il popolare Materdei. In collegamento ideale con l’altra sua creatura, il non troppo lontano Museo Nitsch.

Nitsch è uno dei tre artisti cui sono dedicate le nuove stanze aperte al pubblico. Solo una parte dei 4200 metri su più livelli dell’edificio, spogliato ormai degli originari fasti barocchi e mantenuto dall’azione di recupero nella sua nuda, precaria e affascinante veste disadorna. Dopo una prima inaugurazione lo scorso anno con le sale dedicate a John Cage, Allan Kaprow e Marcel Duchamp, il percorso si estende ora ad accogliere insieme a Nitsch Shozo Shimamoto e Julian Beck, sul filo performativo di una pittura come traccia di azioni (gli spettacolari bombardamenti a distanza di colori di Shimamoto col gruppo Gutai; le tele dipinte dai liquidi organici e altri frammenti di scena di Nitsch). O come inedito mezzo di espressione nell’ampio e poco conosciuto repertorio di quadri giovanili di Beck, gestuali narrazioni a sfondo autobiografico e simbolico che precedono la nascita del suo Living Theatre. Proprio sul Living Casa Morra ci offre una chicca: la costituzione di un importantissimo archivio, unico insieme ai due dell’Università di Yale e del Lincoln Centre di New York, che riunisce disegni e bozzetti preparatori, costumi maschere e altri materiali degli spettacoli, oltre a imponenti faldoni di documenti raccolti dalla stessa Judith Malina dopo la morte del marito. Materiale prezioso e di grande appeal visivo, catalogato e consultabile su richiesta. E’ invece esposto in un ambiente dedicato il piccolo lascito documentario su Joseph Beuys donato da Lucrezia De Domizio Durini, principale promoter dell’artista tedesco. Particolarmente ricco è inoltre il fondo di Mario Franco, regista e studioso napoletano, incentrato sui rapporti tra arte e cinema. Con biblioteca e raccolta di film che registrano anche il passaggio di importanti artisti in terra partenopea dagli anni settanta, fruibili in una saletta cinematografica allestita ad hoc.

L’aspetto relazionale e conoscitivo è infatti al centro dell’intero progetto di Casa Morra. Non semplicemente un museo o un insieme di archivi. Ma un luogo in cui arte e vita s’intrecciano non solo nella scelta appassionata degli artisti in collezione: ma anche per sintonia di lungo corso con i palpiti di una città difficile e insieme bellissima. Una città capace, pur con le sue tante criticità, di rilanciare nella contemporaneità una cultura ed un immaginario che risalgono dai fondali di una sapienza archetipica del vivere.

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