Un grande boato e poi fiamme, fuoco, fumo. Secondo studi recenti era il 24 ottobre del ’79 d.C. quando il Vesuvio, dormiente da otto secoli, esplose seppellendo con la sua nube di ceneri e lapilli l’intera città romana di Pompei. Venti secoli dopo, lo scorso 21 febbraio, la suggestione si ripete col suo drammatico, energetico e simbolico portato di distruzione. Non poteva che essere Cai Guo Qiang, l’artista cinese maestro nell’ uso creativo di polvere da sparo, a restituire sia pur per pochi minuti l’emozione di quell’evento che tanto si è impresso nell’immaginario di ogni epoca.
Nell’ampio anfiteatro riemerso dagli scavi, Guo Qiang ha rievocato il momento topico dell’esplosione e del successivo ritrovamento di reperti. Le riprese fatte dal drone restituiscono a chi non ha avuto la fortuna di essere presente la potenza dell’azione del fuoco che inghiotte e divora ciò che incontra, avvolgendo tutto in un coltre fumosa. Per poi disvelare tra focolai ancora accesi frammenti cromaticamente arsi di statue antiche, vasellame in terracotta, grandi ampolle in vetro, una barca…
Chi ha assistito di persona, pur essendo in parte già informato, pur avendo assistito ai lunghi preparativi di posizionamento delle micce su una estesa piattaforma di tele ed esemplari classici, pur essendo stato erudito dallo stesso artista in modo persino didascalico su ciò che era in procinto di succedere, si è trovato letteralmente travolto dal fragore dello scoppio e dall’espandersi di nubi animate da scintille pirotecniche. Esperienza dal vivo di un’energia cosmica che s’innesta sull’energia del fatto storico, caricandosi di rimandi alle guerre di tutti i tempi, alla forza della natura, alla carica distruttiva della follia umana, con velati riferimenti politici e sociali anche alle vicende locali.
È questa capacità di mixare riferimenti profondi alla tradizione cinese (di cui polvere da sparo e fuochi d’artificio fanno parte), con originale gusto scenico e performativo ( nato a Quanzhou nel ’57, ha frequentato il Dipartimento di Scenografia dell’Istituto d’arte drammatica di Shangai), sguardo critico e conoscenza delle neoavanguardie d’ Occidente (dopo un periodo di studi in Giappone, dal ‘95 vive a New York), ad aver ormai ben inserito Cai Guo Qiang nell’Olimpo delle artistar globali, con un parterre di mostre e premi prestigiosi (tra cui il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del’99).
L’impegnativa operazione campana “Nel Vulcano” – curata da Jerome Neutres -. è stata promossa dalla Fondazione Morra con il lungimirante sostegno del Parco Archeologico di Pompei e del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. È qui che si svolge la seconda fase espositiva. Quello che resta dell’incendio, intaccato e colorato dalle fiamme, dialoga fino al 20 maggio con alcune opere classiche della collezione al piano terra e nei due piani superiori. Tutto in realtà è stato studiato nei minimi dettagli. Agli effetti dell’eruzione virtuale Cai Quo Qiang ha infatti sottoposto alcune copie delle sculture romane del museo: come l’“Atlante” all’ingresso l’ellenistico “Ercole Farnese” gigante, il busto di Pseudo-Seneca… Questi esemplari in gesso, colorati con casualità indotta da pigmenti sapientemente dosati lungo il set e attivati dall’incendio, si fronteggiano con effetto straniante con i loro candidi alter ego originali. Una tela di 32 metri sospesa al soffitto e altri quadri “dipinti” a Pompei con pirotecnica gestualità, insieme a disegni realizzati a New York nella fase preparatoria, si appalesano lungo il percorso. In questa caccia al tesoro quadretti più intimi si insinuano nelle salette della Roma a luci rosse. I grandi vasi in vetro e i recipienti in terracotta si impongono tra i vetri e utensili dell’antichità domestica. La barca posta in verticale richiama le tonalità dei fantastici dipinti pompeiani alle pareti.
Rispetto alla mostra tenuta l’anno scorso da Cai Guo Qiang agli Uffizi di Firenze la rassegna napoletana perde le tonalità più festose e naturalistiche scaturite lì dal confronto con l’arte rinascimentale. Assume invece un’aura austera e malinconica, sebbene venata da guizzi vitalistici: dove il fascino per una grande civiltà scomparsa si carica di allusioni ai drammi del nostro presente.