Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro rappresenteranno l’arte del belpaese all’edizione 58 della Biennale Arte di Venezia intitolata May You Live in Interesting Times, a cura di Ralph Rugoff, e aprirà al pubblico dall’11 maggio al 24 novembre 2019.
La selezione, effettuata dal curatore del Padiglione Italia, Milovan Farronato (Piacenza, 1973), porta all’attenzione del panorama internazionale personalità «A cavallo tra due generazioni», come da lui stesso dichiarato, le cui «opere e biografie, sebbene molto diverse, segnano significativi percorsi artistici contemporanei che si distinguono per spirito di ricerca tra passato e presente». Scelte azzardate? O solo voglia di stupire il pubblico con nomi poco noti ai non addetti ai lavori per via della loro attività svolta soprattutto all’estero?
Sicuramente Farronato ha deciso di intraprendere una strada abbastanza solida e poco criticabile perché ha preferito chiamare un numero esiguo di artisti, selezionandoli tra quelli con cui aveva già lavorato in passato, che hanno alle spalle una considerevole produzione e che sono da tempo consolidati al di fuori del territorio italiano.
Doveroso, sicuramente, è “l’invito” riservato a Chiara Fumai (Roma, 1978-Bari, 2017) che la scorsa estate ha creato un vuoto nel mondo dell’arte lasciando tutti senza parole. La sua breve ma intensa carriera ci aveva sbalordito fin dal principio in quanto è stata il modello, in ambito artistico, di quel senso di appartenenza al mondo che oggigiorno si manifesta in tanti giovani in cerca di una propria collocazione nella società. Un’esigenza che Chiara ha sentito ben presto decidendo di lasciare Bari per Milano, dove conseguì la laurea in architettura al Politecnico per poi frequentare il Corso Superiore di Arti Visive alla Fondazione Ratti e, successivamente, vincere nel 2013 il Premio Furla. Dopo le importanti partecipazioni internazionali a dOCUMENTA (13) nel 2012, allo Studio Voltaire (Londra), Survival Kit Festival (Riga) e al Jeu de Paume (Parigi) approda oltreoceano ottenendo il Premio New York. Con carattere ha da sempre rivolto la sua attenzione verso temi di stretta attualità che sono al centro sia del dibattito artistico contemporaneo sia della società del nostro tempo, come il femminismo, l’identità sessuale, l’attivismo o le delicate questioni politiche ma sempre in modo innovativo e mai superficiale. Argomenti, questi, espressi attraverso le pratiche della performance e dell’installazione per dar luogo a opere di forte impatto emotivo e riflessivo poiché incentrate sulle debolezze, le contraddizioni e le passioni violente celate nella condizione umana. Farronato conosceva bene la Fumai – che nel 2011 era stata da lui invitata a partecipare al Festival Volcano Extravaganza – e ancora continua a sostenere la sua arte essendo uno dei fondatori della “The Church of Chiara Fumai”, associazione ideata dalla mamma di Chiara per la tutela e la promozione delle sue opere.
Nomina abbastanza scontata è quella di Enrico David (Ancona, 1966), artista molto conosciuto all’estero per via della sua scelta di risiedere da anni a Londra, dove ha studiando presso la Central St. Martins School. Proprio nella capitale inglese ha sede dal 2011 il Fiorucci Art Trust – associazione nata per promuovere l’arte contemporanea attraverso commissioni, pubblicazioni, workshop e residenze in location spettacolari come il Volcano Extravaganza a Stromboli – di cui Farronato è Direttore e Curatore. Nel 2011 Milovan curò la prima personale di David in Italia presso la Fondazione Beviliacqua La Masa di Venezia ed in tale occasione il Fiorucci Art Trust supportò la pubblicazione del catalogo insieme alla Michael Werner Gallery e la boutique milanese Vhernier. Già allora l’anconetano godeva di un elevato riconoscimento creativo in quanto nel 2009 era stato selezionato al Turner Prize insieme a Roger Hiorns, Lucy Skaer e Richard Wright che lo vinse. Inoltre, vanta di aver esposto in molti importanti musei come il Seattle Art Museum (2008); il Museum für Gegenwartskunst a Basel (2009), il New Museum di New York (2012), l’Hammer Museum di Los Angeles (2013), l’Hepworth Wakefield nel West Yorkshire (2015), la Collezione Maramotti a Reggio Emilia (2015), la Sharjah Art Foundation negli Emirati Arabi (2016). Tuttora è in corso una sua personale al Moca di Chicago (fino al 10 marzo 2019) – successivamente visibile all‘Hirshhorn di Washington – che fornisce per la prima volta al pubblico americano una panoramica completa della sua ventennale produzione artistica. La sua ricerca è molto variegata spaziando dalla pittura all’installazione, dalla scultura al disegno, cimentandosi anche con tecniche artigianali come il ricamo e l’interior design per creare immagini frammentarie e spiazzanti dove il corpo dell’uomo è dilaniato e reinventato con lo scopo ultimo di riflettere su questioni legate all’autorità e all’identità.
Infine, altro nome noto a livello internazionale è quello di Liliana Moro (Milano, 1961). Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera con Luciano Fabro, del quale è stata allieva, la Moro fin da giovanissima ha impostato la sua carriera al di fuori dei confini nostrani come la sua partecipazione a dOCUMENTA IX a Kassel nel 1992 ma anche ad importanti rassegne nazionali come “Aperto ‘93” alla XLV Biennale di Venezia diretta da Achille Bonito Oliva. Ha esposto presso varie gallerie sia in patria – come la Farncesco Pantaleo Arte Contemporanea – sia all’estero. Negli anni Ottanta a Milano insieme con altri artisti ha dato vita alla rivista Tiracorrendo e allo Spazio di via Lazzaro Palazzi, fondato nel 1989 e rimasto attivo fino al 1993. Il suo linguaggio espressivo si caratterizza per il suo essere libero ed essenziale ma mai tendente al minimal. I suoi lavori si basano soprattutto sull’utilizzo di oggetti d’uso comune e materiali esistenti per ideare opere ambientali, disegni, collages, sculture, progetti teatrali e installazioni sonore dove il mondo dell’infanzia, della favola, del gioco, della maschera è riletto attraverso prospettive inusuali. Farronato, come per gli altri due artisti, ha curato la Moro nella personale This is the End presentata dalla Careof e Viafarini presso la Fabbrica del Vapore nel 2008 ovvero negli anni in cui egli fu Direttore dell’organizzazione no profit milanese (2005-2012).
In attesa della prossima primavera, quando saranno resi noti maggiori dettagli circa il progetto curatoriale annunciato e prescelto dal ministro dei beni e delle attività culturali, Alberto Bonisoli, possiamo solo affermare che le premesse espresse appaiono molto accattivanti, tanto da lasciar immaginare un Padiglione Italia colmo di proposte interessanti e socialmente impegnate.
“Biennale di Venezia 2019: Padiglione Italia: David, Fumai e Moro”
a cura di Milovan Farronato
dall’11 maggio al 24 novembre 2019
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