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Aung Ko Breakfast with my Enemy

Fino al 31 gennaio è possibile visitare alla Primo Marella Gallery la prima personale europea dell’artista birmano Aung Ko, Breakfast with my Enemy. Artista, attivista politico, indignato per la mancanza di libertà e per le condizioni di povertà del suo Paese, che ha subito la dittatura militare dal 1992 al 2010, con questa serie di opere e installazioni pone domande sulla rabbia e il senso della rivolta, sui limiti dell’esistenza in un paese dove la libertà di esprimersi e progettare il futuro è un lusso, confrontandosi con temi contemporanei che influenzano la sua vita e quella del suo popolo. Aung Ko utilizza nel suo racconto linguaggi diversi in funzione dei temi che tratta, dalla fotografia al video, dalla pittura alla scultura. Le sue narrazioni artistiche si relazionano alla storia, contemporanea e passata, ed al tempo che trascorre. All’ingresso della galleria emozionano un gruppo di nove sculture completamente bianche, sono la trasposizione tridimensionale delle figure ritratte nei dipinti, presenti in sala, che rievocano l’attentato del 2010 e immobilizzano quel drammatico istante, una testimonianza storica dell’assassinio del futuro del popolo birmano. Aung Ko affronta questi temi universali, con opere che vanno al di là dell’opposizione politica e la serie di dipinti We are Moving e How Should We Do? che riconducono alle esplosioni in rapida successione di tre bombe nei pressi del lago Kandawgyi a Yangon, in Birmania, il 15 aprile 2010, ne sono la testimonianza. In questi dipinti Aung Ko, quasi fosse un reporter, immortala i gesti di angoscia e paura dei manifestanti in fuga. Riprendendo e narrando il medesimo fatto di sangue con questo duplicare le figure e i momenti di angoscia, con pittura e scultura, come un continuo rimando / ricordo / rivivere quei momenti rende tutto più reale e drammatico. Aung Ko ha lavorato anche a una serie di sculture che lo ritraggono, a grandezza naturale, in periodi diversi della sua esistenza, nudo, con il corpo glabro, interamente ricoperto da una patina d’oro, in atteggiamenti aggressivi o pacati, seduto, sdraiato in posizione di riposo o in piedi e appoggiato ad una colonna. Altre sei figure hanno una pistola in mano e si prendono di mira a vicenda, una è puntata verso chissà quali fantasmi o paure che agitano l’immaginazione dell’artista, la cui la nudità rimanda alla vulnerabilità umana e l’oro all’identità della Birmania. L’oro e il bianco sono i colori che utilizza nelle sue sculture e che per l’artista esprimono l’essenza del colore. Il bianco si trasforma così nella critica contro la condizione del suo popolo che un sistema di potere che nega l’individualità lo ha portato a smaterializzarsi in una vita anonima e omologante. L’oro, che rimanda all’identità della Birmania detta anche “terra dell’oro” per la prevalenza delle dorature degli edifici religiosi ricorda anche che i birmani che vivono e lavorano all’estero vengono chiamati Mister Gold anche se non realizzano i loro sogni dorati e spesso vivono in condizioni di miseria e sono ridotti a schiavi della modernità, costretti a fare i lavori più umili e rischiosi. Bicycle (2008-2011) è un’installazione composta da un video ed una serie di fotografie che l’artista ha scattato nel corso delle stagioni, dei giorni e degli anni nei dintorni del suo villaggio, catturando la quotidianità e la ritualità del popolo birmano. Trait-d’union è un’installazione da lui costruita fatta da tre biciclette assemblate insieme: tre come le stagioni nel Myanmar, tre come le dimensioni del sacro nel credo buddhista e tre come gli anni impiegati per realizzare il progetto. Infine le opere The Sights viewed from Boats che ancora una volta elevano un oggetto comune che fa parte della quotidianità in Myanmar implicando una riflessione su temi sociali, economici e politici contemporanei.

Primo Marella Gallery – V.le Stelvio 66, Milano
12 Dicembre 2013 – 31 Gennaio 2014

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